Turismo e Como
Lezioni di piano

La storia del pianista itinerante sloggiato da piazza Cavour da un agente della polizia locale molto zelante, che gli contestava l’occupazione abusiva di suolo pubblico, sta scatenando un putiferio che neanche il muro.

Ne scriviamo anche oggi (a pagina 9), poco invidiando un povero vigile ritrovatosi, in un lampo, a incarnare lo stereotipo del fallimento cubitale di una città che da anni si racconta turistica, pur senza averne alcuna vocazione.

Ieri, sulla vicenda - definita “incomprensibile” - ha preso posizione anche un’indignatissima Gisella Introzzi, assessore comunale al Turismo, decisa - dice - ad andarci a fondo, se è vero, come pare, che il regolamento comunale non contempli affatto l’obbligo, da parte degli artisti di strada, di ottenere un permesso per potersi esibire. Vedremo.

Di sicuro c’è che questa piccola vicenda qualcosa racconta anche di tutti noi, e della generalizzata incapacità di mostrarci davvero accoglienti, ospitali, appetibili alle frotte di gente che, incredibilmente, viene ancora a trovarci da ogni angolo del pianeta.

Non tanto per loro, sia chiaro, ma per noi, che con i loro soldi dovremmo camparci, vista la piega che sta prendendo una fetta importante della nostra economia, sulla quale difficilmente i nostri figli potranno ancora prosperare.

È un discorso vecchio, e in realtà anche un po’ trito, ma a tutt’oggi non vi sono prove del contrario, nulla che smentisca le potenzialità immense della prima industria del Paese, cioè del turismo.

Ora: detto a parziale discolpa del vigile, è evidente che, quanto a ingombro, un pianista non può essere equiparato a un suonatore di piffero. Del suonatore di piffero, però, condivide lo spirito, l’immagine, oltre che la musica, la stessa che tutti noi ascolteremmo volentieri stravaccati su un quais parigino o in un barrio di Lisbona, magari conservando poi il ricordo di una città lieve, serena, accogliente, in una parola turistica.

Perché cambiano anche i turisti, che non sono più soltanto tycoon americani scesi a Villa d’Este o russi in elicottero. I numeri dicono che aumenta la fruizione dei bed&breakfast, quella dei (pochi) ostelli, quella delle soluzioni che piacciono ai più giovani, e che insomma Como e il suo lago finiscono sempre più spesso tra le tappe dei grand tour che ragazzi e ragazzini di tutto il mondo progettano per le loro vacanze in Europa.

E noi? Gli offriamo poco, pochissimo, se non gli scenari struggenti di un lago massacrato da speculazioni ottuse, eppure ancora miracolosamente incantevole, gli offriamo pochi sorrisi, una vita notturna inesistente - come lamentavano tre giovanotte irlandesi su queste pagine giusto pochi giorni fa -, incapaci come siamo di individuare una sintesi tra i nostri diritti (per esempio quelli di chi in città vorrebbe dormire e invece, da maggio a ottobre, passa la notte al telefono con i vigili per il frastuono che “vien su” dalla strada) e le pretese ugualmente legittime di chi vorrebbe potersi divertire.

Quel povero agente, meritevole - pur con tutto il suo inflessibile rigore - di un pizzico di solidarietà, è davvero lo specchio di tutti noi, custodi di una terra magica sospesa tra acqua e cielo che non sa aprirsi. E che con la colonna sonora di un pianoforte sarebbe probabilmente ancora più bella.

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