Se a Como sperano
che sia femmina

Un film degli anni ’80 di Mario Monicelli si intitola “Speriamo che sia femmina”. Nella politica e non solo, comasca, sono in parecchi ad auspicare un sindaco donna per il dopo Landriscina. La città è sempre stata amministrata, al massimo livello, da figure maschili che, spesso concedevano alle quote rosa la poltrona (non il sofà, eh...) di vice sindaco.

Certo sarebbe il momento magari di rompere la tradizioni. Anche adesso, il numero due di palazzo Cernezzi è una lady: Elena Negretti. E potrebbe essere proprio lei la candidata per il centrodestra alle elezioni del prossimo anno. Fino a quando non è stata nominata assessore regionale, era Alessandra Locatelli, leghista comasca di primo piano, la designata. Anche lei era stata vice di Mario Landriscina fino all’ascesa ministeriale nell’ultima fase del governo Conte Uno. Ora appare impensabile richiamarla da Milano.

Altre figure di spicco nel centrodestra ci sarebbero: su tutte Anna Veronelli, forzista e presidente del consiglio comunale che, oltretutto, ha in tasca la cambiale della mancata nomina ad assessore. Contro di lei però giocano la debolezza elettorale del suo partito e anche l’atteggiamento di quest’ultimo all’interno dell’alleanza. Chiaro che a dare le carte sarà la Lega e questo potrebbe provocare qualche azione di disturbo da parte di Fratelli d’Italia, visti i rapporti non idilliaci anche e soprattutto in ambito locale tra i due movimenti. Elena Negretti, pur non organica, è una figura certo non sgradita a Matteo Salvini e al leader locale, Nicola Molteni, anche per la linea adottata come assessore alla sicurezza.

A sbarrare la strada a Negretti, ma i giochi sono del tutto aperti e non sarà facile ricucire i numerosi strappi di questi anni all’interno della coalizione di governo della città da cui potrebbero scaturire non pochi veti incrociati, sarebbe casomai lo stesso sindaco con cui l’assessore collaborava al 118 e che l’ha voluta nella sua lista civica. Landriscina è infatti ancora in una fase amletica sull’eventuale secondo mandato. E, nonostante i risultati che sarebbe un eufemismo definire “poco esaltanti” del primo, sarebbe difficile negargli la possibilità del bis.

Il ragionamento a tinte rosa investe in pieno anche il centrosinistra comasco. Primo perché qualche autocandidatura femminile starebbe emergendo e poi perché l’avvento di Enrico Letta alla guida del Pd ha posto in maniera decisa la questione al centro del dibattito.

Del resto, una volta tramontata l’ipotesi di Mario Guerra, da alcuni considerato un “dio” non dei cimenti bellici ma della capacità amministrativa, ogni ipotesi è aperta. E non mancano anche dall’esterno le sollecitazioni. Peraltro ci sono autorevoli esponenti freschi di iscrizione ai Dem che vedono con grande favore una scelta al femminile. Nomi non ce ne sono, caso mai identikit. Uno dei più nitidi si avvicina a una sorta di “papessa straniera”: Ada Mantovani, eletta nella lista civica di Alessandro Rapinese e poi entrata in rotta di collisione con il leader. A suo favore gioca la popolarità trasversale, contro, il suo passato a destra e la stessa esperienza civica con il grande oppositore della giunta Landrscina, ma, all’epoca, anche di quella guidata da Mario Lucini. E poi c’è il Pd dove le divisioni sono il marchio di fabbrica, e, in ambito comasco, si rivela anche una scarsa propensione all’incisività dell’azione politica. Non mancano altre figure femminili d’area con curricula, attitudini ed esperienze del tutto all’altezza della sfida. Ma, in molti casi, pesa il problema dell’abbandono o anche del distacco dalle attività professionali in cui sono ora impegnate. Perché ormai, anche in una città di media dimensione come Como, quella del sindaco è una carica attrattiva soprattutto per chi persegue una carriera politica oppure ha la possibilità di mettersi al servizio dell’amministrazione senza dover stravolgere il proprio tran tran.

I giochi però devono partire, altrimenti si rischia, come è spesso capitato in passato, di rassegnarsi alla candidatura scelta all’ultimo momento più per esclusione che non per convinzione.

Il paradosso è che, in tutto questo dibattito sommerso sul sindaco donna, gli unici personaggi che già hanno annunciato la volontà di scendere in campo sono uomini. Il primo è Alessandro Rapinese che ci riprova dopo aver mancato il ballottaggio non di molto cinque anni fa. L’altro è l’eterno “rieccolo” Bruno Magatti, più croce che delizia del centrosinistra. L’unica cosa da auspicare per i comaschi è che dallo “Speriamo che sia femmina” non si passi a un altro capolavoro del maestro Monicelli: “L’armata Brancaleone”.

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