«Il mio abbondino d’oro?
Altri meritavano più di me»

Luigino Nessi e la benemerenza: «Dovevano darla a don Giusto, a don Roberto o a Flavio Bogani»

L’Abbondino d’Oro Luigino Nessi si racconta, in un’intervista pubblicata martedì scorso su Diogene

Fra le case di ringhiera in via Sant’Antonino ad Albate, c’è n’è una con la bandiera della Pace sdrucita e bucata, appesa al primo piano. È al suo posto da più di vent’anni, da quando i serbi bombardarono Sarajevo durante la guerra in Bosnia. Luigino Nessi, il padrone di casa insieme con la moglie Orietta, non ha intenzione di toglierla e riporla nell’armadio. Come non ha alcuna voglia, a 72 anni, di mettere da parte il suo impegno verso i deboli e gli ultimi della città. Per questo, sabato, a villa Olmo, ha ricevuto l’Abbondino d’Oro, la massima benemerenza cittadina.

Il riconoscimento

«Non me l’aspettavo, coincidenza vuole che quella mattina ero in Comune. Me l’ha detto Anna Veronelli e la mia prima reazione è stata “ma andate al diavolo, ci sono persone più meritevoli di me”. Penso a don Giusto Della Valle, a don Roberto Malgesini e a Flavio Bogani», racconta seduto attorno al tavolo della sala piena zeppa di libri, vhs e foto di famiglia, intervallando le frasi da alcune risate di cuore mentre Orietta, prima d’uscire, prepara il caffè. «I miei miti musicali sono Modugno Celentano, Endrigo - aggiunge, indicando tutto il materiale culturale presente - De André è arrivato dopo. Adoro i film neorealisti. Rocco e i suoi fratelli, per me, è un capolavoro».

Per prima cosa, Nessi tiene a precisare un aspetto: il premio è merito di tutte le persone incontrate, come le sue idee sono figlie dei tanti libri letti.

«Sono nato ad Albate e poi ci siamo trasferiti a Novara. Era il dopoguerra e tutte le domeniche arrivava a casa nostra un povero: per lui, un pezzo di pollo non mancava mai. A scuola, facevamo lezione accampati nei corridoi con le persone del Polesine e dell’Istria. Poi, una volta tornati ad Albate dopo la morte di mio padre, siamo stati aiutati da tante persone».

Lavoro, sport e oratorio

Una parte cruciale per la vita di Luigino è stata il lavoro: «Sono stato una vita alla Noseda trasporti. Il mio sogno era diventare Cavaliere del lavoro - scherza - ho lavorato 37 anni nello stesso posto, credo sia quasi un record. Per me è stato un periodo molto bello, mi occupavo del carico e scarico e organizzavo i giri. Vivevamo quegli anni come momento d’incontro, condivisione dei problemi, fatica».

Cominciavano gli impegni in oratorio e nel quartiere, grazie ai tanti amici e preti incontrati nella vita: «Erano gli anni Settanta, alle Acli di Como c’erano figure eccezionali».

L’impegno politico

Cruciale l’impegno politico, le battaglie per il divorzio, i consigli di quartiere spontanei, i consigli di circoscrizione, il periodo di “Solidarietà e partecipazione”, e infine, la battaglia in consiglio comunale: due volte all’opposizione di Botta e Bruni, poi in maggioranza con Lucini. Una vita fra liste civiche e partiti, sempre dentro il centro sinistra: «Sono un cattocomunista - aggiunge - iscritto al Pci un solo anno, ma Berlinguer per me è stato il massimo. Ricordo con piacere quando si staccò dall’Unione sovietica, fu un momento importante». C’è stato il contributo alla vita sportiva della città: Luigino fu tra i fondatori dell’ Us Albatese. Per non dimenticare l’attività in carcere, il volontariato in Croce Rossa, la gente in arrivo dal Sud e la scuola popolare, l’impegno per tutte le difficoltà del quartiere e della città, il volontariato in Croce Rossa, l’avvicinarsi al carcere, i traslochi “Caritas” nella fine anni Novanta, l’accoglienza dei ragazzi bosniaci, preceduti dai libanesi e dai kosovari. Una vita, insomma, dalla parte dei cittadini, dando autenticità alle parole attraverso i gesti compiuti ogni singolo giorno.

La Como di oggi

E ora, com’è Como? Le periferie sono ancora un luogo dove si riesce perfino a innamorarsi? «La situazione è peggiorata, la condizione economica è differente. Prima erano luoghi aperti, il mio problema era il tuo e viceversa. Ora si tende a chiudersi: il mio problema è più importante del tuo, quindi vengo prima di te. Per questo per me è importantissimo il portierato sociale: ci sono anziani soli al quinto piano, servono persone apposta per dare una mano, segnalare i problemi e, al contempo, gestire i conflitti. Siamo in una società dove ci sono meno punti di riferimento e solidarietà. È necessario ricostruire la comunità».

Come fare? «Un esempio - conclude - per l’apertura del primo dormitorio, mi sono ritrovato a lavorare fianco a fianco con Paolo Mascetti, Rocco Belmonte e Flavio Bogani. Avevamo idee diverse ma su un punto eravamo d’accordo: si trattava di problemi delle persone e quindi andavano risolti. Ci vuole più coraggio e una maggiore attenzione alle necessità dei cittadini. Così saremo più felici». Intanto, fuori, nonostante la brutta giornata, si sentono voci e canzoni, mentre i panni colorati si muovono al vento. C’è ancora speranza, nonostante tutto.

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