Plinio il Vecchio: l'eroe di Pompei sul velario del Sociale

Per le celebrazioni del bimillenario pliniano un libro di Longatti dedicato al sipario del 1813. La morte dell’autore della “Naturalis Historia” dipinta da Sanquirico a partire da un’idea di Giovio

Verrà presentato al Teatro Sociale di Como mercoledì 3 maggio 2023 alle ore 18.30, a ingresso gratuito, il libro “Il velario pliniano del Teatro Sociale di Como” scritto da Alberto Longatti. Sempre il 3 maggio, alle 20.30, si terrà lo spettacolo “Curiositas. Della vita e della morte di Plinio il Vecchio” scritto da Giuseppe Di Bello in occasione del bimillenario della nascita del grande comasco. Info: www.teatrosocialecomo.it

La più intensa immagine di Plinio il Vecchio che abbiamo a Como è “nascosta” dentro il Teatro Sociale. E sebbene negli ultimi anni sia stata mostrata in occasione di varie iniziative di divulgazione culturale e anche di alcuni spettacoli, ancora troppi comaschi non l’hanno vista. Nel bimillenario della nascita dell’“eroe di Pompei”, come lo ha definito la Cnn, è dunque meritoria, per non dire necessaria, la pubblicazione del libro “Il velario pliniano del Teatro Sociale di Como” edito da Nodolibri su iniziativa della Società Palchettisti, di AsLiCo e dell’Accademia Pliniana. I rispettivi responsabili - Claudio Bocchietti, Barbara Minghetti e Massimiliano Mondelli - ne firmano le note introduttive, mentre la stesura del testo è stata affidata al massimo esperto del teatro comasco, Alberto Longatti, che già aveva curato il volume uscito nel 2013, in occasione del bicentenario della sua fondazione.

Simboli

Longatti ci porta “dietro le quinte”, in senso letterale e anche metaforico, raccontandoci con dovizia di particolari, in parte inediti, la genesi di uno dei più significativi simboli della città, non a caso scelto nel 2011, quando era appena stato restaurato, per rappresentarla alla mostra organizzata a Torino per il 150° dell’Unità d’Italia. Analogamente, due secoli prima, i Palchettisti avevano individuato Plinio il Vecchio come “padre nobile” della patria comasca. «L’immagine da riprodurre - scrive Longatti - venne indicata dalla commissione incaricata a questo scopo, presieduta da Giambattista Giovio (Como, 1748-­1814) e composta dal nobiluomo Luigi Olginati, dall’ingegner Paolo Tatti e da Luigi Luraschi, di an­tica famiglia comasca». «Fu certamente il conte Gio­vio [...] - aggiunge - a individuare fra i soggetti presi in esame il più carico di significato in sede locale per il soggetto prestigioso, ma anche il più noto in campo interna­zionale: la tragica fine di Caio Plinio Secondo (Plinio il Vecchio) durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.». Una scelta - e qui sta una delle interessanti intuizioni longattiane - dettata non soltanto dalla formazione culturale e dall’erudizione di Giovio, ma anche da ragioni esistenziali. Insomma, un fatto profondamente umano, come profondamente umana è la scena rappresentata sul velario. «In quel momento - osserva l’autore del libro - il sessantacinquenne nobiluomo comasco stava soffrendo atrocemente per la morte del suo primogenito Benedetto, arruolatosi nelle truppe napoleoniche contro la sua volontà, dato che lui era un austriacante inviso ai francesi per la sua posizione politica. Dunque, il suo stato d’animo, non ultima causa della malattia che lo condusse alla morte l’anno successivo, non va dimenticato anche in questa circostanza, che getta sul brano di realtà da trasformare in immagine scenica una sensazione lirica, desolata e tuttavia vibrante, quasi si fosse in presenza della morte di un eroe».

Per eseguire l’opera venne scelto «l’ultimo esponente della tradizione scenografica italiana che aveva dominato nel vecchio continente per quattro secoli», ovvero Alessandro Sanquirico, scenografo della Scala di Milano, ma anche richiestissimo decoratore delle ville patrizie in mezza Europa, con una predilezione per il lago di Como (nel 1812 affrescò le pareti di una sala di Villa Melzi a Bellagio, nel 1830 realizzò un olio raffigurante un ricevimento a Villa Sommariva, ora Villa Carlotta, dove è esposto). Anche in questo caso Longatti condisce la narrazione con sapidi aneddoti, come quello relativo a una (ingiusta) critica di Stendhal all’artista.

Qui non avrebbe senso raccontare tutto il libro, in vendita al Teatro Sociale e nelle librerie comasche, ma scegliamo due delle tante informazioni riferite da Longatti, la prima delle quali costituisce un piccolo “scoop”. Si tratta della presenza nella scena dipinta sul velario di Plinio il Giovane, che invece sappiamo essere rimasto nella realtà a guardarla dalla sponda opposta. L'altra chicca riguarda la continuità scenografica tra il fumo che scaturisce dal Vesuvio e la nuvola nera che rompe la cornice dell’immagine mitologica raffigurata sul soffitto del teatro.

La presenza di Plinio il Giovane

«Nelle prescrizioni dei palchettisti, vergate a penna su un foglietto conservato nell’archivio del Teatro - scrive Longatti - , si chiede di sce­neggiare il compianto dei militi per il loro comandante e soprattutto il dolore del nipote/figlio, ritratto mentre regge su una spalla il capo del morente e lo abbraccia piangendo». L’alterazione della “verità” descritta dallo stesso Plinio il Giovane nella lettera a Tacito sulla morte dello zio ha un fine ben preciso, verrebbe da dire teatrale: accrescere il senso del melodramma e porre davanti agli occhi del pubblico entrambi i “padri nobili” della città. «Questa voluta alterazione del resoconto sulla tragedia vesuviana - sostiene Longatti - chiarisce dunque le intenzioni degli stessi committenti, e in specie proprio del Giovio, sull’effetto che si voleva trarre dall’opera, tale da non tener conto della totale veridicità dell’episodio evocato ma di quanto fosse in grado di attrarre i riguardanti e di coinvolgerli, creando un intenso stato di pathos emotivo».

E l’anomala nuvola scura sul soffitto è davvero, , come si racconta, una prosecuzione del fumo che esce dal vulcano, un collegamento tra la terra (il velario) e il cielo? Un’ipotesi che Longatti ammette, ma non dà per certa. «Forse non è casuale nemmeno che la “via del fumo” appaia in asse con lo sfogo del Vesuvio in eruzione quando il velario pliniano è disteso, a titolo di ulteriore allusione del rapporto fra mondo degli uomini e ultramondo degli esseri celesti. Sta di fatto che certifica come l’arte possa raggiungere l’armonia delle forme in un grande teatro lirico come il Sociale, dove non solo l’arte scenica è di casa».

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