Viaggio in Ucraina tra gli orfani di guerra insieme ai volontari comaschi

Reportage Da Rebbio e Maccio verso la città ucraina di Chernivtsi e il piccolo orfanotrofio di Magal, dove alcuni bimbi disabili provenienti dalle zone del fronte sono costretti nei loro letti

A Magal la guerra ha un ghigno malevolo. Non è subito evidente e si trascina senza ostacoli come una malattia maleodorante, abile a infilarsi in ogni anfratto, invisibile ma ingombrante all’inverosimile. In un orfanotrofio a Magal vivono dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina una cinquantina di bambini cui il mondo ha tolto tutto l’immaginabile e persino di più.

In alcuni casi vengono dalle zone dove gli scontri armati sono dilagati prima e più velocemente, in altri invece sono sempre stati lì, a Magal, in quella piega di mondo dove dimenticarli è fin troppo facile, fin troppo comodo.

Un gruppo di volontari comaschi viaggia a Magal dall’inizio dell’estate

Anche perché Vanya, Ruslan, Glib, Marinella, Danya, Roman, André, Maxime, Venceslao, Vitalik e tutti gli altri bambini di Magal sono disabili. La loro fragilità in Ucraina è motivo di vergogna e rifiuto: chi di loro non è orfano a causa della guerra, è stato abbandonato proprio a causa della disabilità, perché difficile da trasportare fuori dal paese, lontano dal fronte, o semplicemente perché scomodo. Capire esattamente come siano arrivati in questo paesino dell’Ucraina occidentale è complesso: le persone che di loro si occupano parlano perlopiù ucraino, nel migliore dei casi rumeno e pochissime parole di italiano. Ecco perché per il gruppo di volontari comaschi che dall’inizio dell’estate li raggiunge una volta al mese, per provare a progettare per loro un futuro migliore, è difficile orientarsi in questo labirinto di storie rimaste senza voce.

Una nenia senza parole

Questa storia ve la raccontiamo da vicino, perché insieme ai volontari partiti da Como , in un progetto che vede coinvolta la parrocchia di Rebbio, quella di Maccio, il Progetto di Vita di Baranzate e la chiesa ortodossa di Milano, abbiamo superato la dogana dell’Unione Europea e ci siamo addentrati nel conflitto che in questi mesi sta sconvolgendo l’Europa. Lo abbiamo fatto perché la guerra non è fatta solo di bombe, ma anche di vittime silenziose, che meritano di essere ascoltate a loro volta.

A Magal, dove per fortuna le bombe non cadono, la guerra c’è comunque ed è proprio lì che dottori, infermieri, educatori e altri volontari comaschi portano ogni mese tutto quello che possono: vestiti e medicinali, certo, ma soprattutto cure, coccole e amicizia per dei bambini che passano settimane intere senza sentire il tocco caldo di una mano amica sulla guancia.

A loro, come si diceva, il mondo ha tolto tutto. Dapprima la salute: dei 52 bambini presenti nell’orfanotrofio, 12 sono disabili in condizioni molto gravi. Passano le giornate sulle loro carrozzine e i più fortunati riescono a osservare un minuscolo spicchio di mondo che prende vita fuori dalle finestre della stanza dove vivono. Un cagnolino che abbaia, una foglia che danza davanti al vetro, l’avvicendarsi delle stagioni e il passaggio dei soliti volti, a cui troppo spesso manca un sorriso indirizzato verso di loro.

Solo cinque assistenti e un’infermiera a prendersi cura dei bambini durante il giorno

I meno fortunati tra questi 12 invece se ne stanno in una stanza più piccola: sono anche loro disabili gravi, ma sono più grandi, più forti, e quindi più difficili da gestire per il personale non formato dell’orfanotrofio (cinque assistenti ogni giorno, a rotazione, supportate da una sola infermiera alla volta). Due di loro passano le ore seduti su una panchina, alla quale sono legati con lacci di fortuna, fatti di calze e stracci, prigionieri di sé stessi. Entrare nella loro cameretta significa lottare costantemente con un senso di impotenza che afferra il cuore, stritolandolo.

In quella stanzetta con le finestre alte e i muri sbiaditi, c’è anche Andrè. Di lui si sa pochissimo e quello che non si sa lo si impara stringendogli la mano. I suoi occhi verde acqua scrutano il mondo ma ne vedono solo le ombre, le sue guance sono solcate dai graffi che da solo si infligge quando ciò che ha vissuto diventa troppo intenso da gestire e chiede di essere buttato fuori. L’idrocefalo è stato solo il primo dei suoi mali, seguito da traumi che non sappiamo raccontare e da un’infelicità che si riassume in un’immagine: per tenerlo al sicuro da sé stesso (camminando va a sbattere contro tutto e tutti) e per la poca esperienza di chi si prende cura di lui, Andrè è sempre legato al suo letto. Eppure, quando gli si stringe la mano, la sua vocina mugugna una canzone senza parole.

Un progetto per salvarli

Ma anche per chi si può muovere in libertà all’interno dell’orfanotrofio la vita non è per niente spensierata. Gli altri bambini di Magal infatti portano con sé forme di disabilità diverse, psichiche perlopiù, che rendono estremamente complesso il rapporto tra di loro e chi di loro dovrebbe avere estrema cura.

Va detto, prima di ogni giudizio, che le donne assunte per lavorare in questa struttura pubblica non solo non hanno alcuna formazione nel campo dell’assistenza ai disabili, ma soprattutto ogni giorno si trovano impegnate a gestire una cinquantina di bambini, ciascuno con necessità estremamente specifiche.

Questo non giustifica i comportamenti bruschi, ai limiti della violenza, cui abbiamo assistito e certo non rende più accettabile che un bambino non possa gustare nemmeno un grammo di felicità quotidiana. Ma i volontari comaschi con cui abbiamo viaggiato hanno imparato che l’indignazione non porta alcun risultato e che per provare a cambiare le sorti di questi bambini ci vuole la pazienza di entrare nel mondo in cui vivono, per cambiarlo un pezzo per volta dall’interno. Così, nel corso dei mesi, si è sempre meglio delineato il progetto cui partecipano i volontari comaschi, “Magal orphanage”, mirato a migliorare le condizioni dei piccoli ospiti dell’orfanotrofio, un pezzetto per volta. Un progetto che abbiamo potuto osservare da vicino, giorno per giorno, nel corso di questo viaggio.

Una luce di speranza per i bambini di Magal

Intorno all’orfanotrofio di Magal regna il silenzio. Si arriva camminando in mezzo a campi dove il rumore delle macchine sulla strada principale - quella che porta fuori dall’Ucraina, verso la Romania e la pace - giunge attutito e quando ci si ferma davanti alle sbarre del cancello sembra di stare in un luogo sospeso nel tempo e nello spazio.

Il mondo nell’orfanotrofio è ridotto a un edificio, ai suoi cortili esterni e al cielo azzurro che li sovrasta, azzurro come la bandiera dell’Ucraina. Il giorno in cui con il gruppo di volontari siamo arrivati a Magal per questo quinto viaggio umanitario partito da Como, il silenzio era assordante. Non c’erano gridolini e risate spensierate negli spazi aperti dell’orfanotrofio, ma solo un’ombra di grande solitudine.

Eppure è bastato un suono, quello della ghiaia del cortile sotto le scarpe dei volontari, perché lì dietro le finestre qualcosa iniziasse a muoversi. I bambini di Magal hanno imparato il rumore che fanno i passi di chi come Anna Gini, dottoressa al suo quarto viaggio a Magal, Marco Corbella, dottore, ed Elena Scalcinati, educatrice, entrambi alla seconda esperienza qui, viaggia fino all’Ucraina per stare in loro compagnia. Con questi volontari comaschi insieme a chi scrive è partito anche uno studente universitario di Milano, Giorgio di Michino.

Serve un po’ di tutto

A Magal impari il tuo nome da capo, quando a pronunciarlo sono labbra che faticano a formare qualsiasi altra parola. E allora non importa più che tu e quei bambini parliate lingue diverse o che in quel cortile nascosto al mondo non ci siano giochi o altri passatempi: basta una mano e la voglia di camminare intorno all’edificio dell’orfanotrofio ancora e ancora. Quasi come se questi bambini senza documenti, senza passaporto, nella maggior parte dei casi senza famiglia, sapessero di non poter andare lontano ma fossero comunque pieni di voglia di correre.

All’interno dell’orfanotrofio, lo scorso inverno, c’erano solo nove gradi

Oltre ai vestiti e al materiale medico, a Magal si portano idee. In collaborazione col direttore dell’orfanotrofio e con la dottoressa neuropsichiatra che ogni lunedì visita i bambini, i volontari di Como stanno provando a studiare un progetto di ampio respiro. Sono diversi infatti i lavori di ristrutturazione essenziali affinché i piccoli ospiti possano condurre una vita dignitosa. All’interno dell’orfanotrofio, quando la guerra è iniziata, c’erano solo nove gradi, oggi invece gli ambienti sono più caldi, ma c’è ancora molto da fare per renderli davvero accoglienti. A partire dalla necessità di un generatore di energia elettrica, quella che ogni tanto salta, togliendo ai piccoli ospiti la gioia di qualche video musicale trasmesso in televisione (una delle loro pochissime occupazioni).

I bambini di Magal - quelli che per fortuna non si trovano su una sedia a rotelle - non hanno molto con cui riempire il tempo. Quando il sole fa capolino nel cielo, escono nei cortili a giocare: ma il loro scivolo è completamente arrugginito, così come le poche altre strutture del parco giochi, in certi casi addirittura pericolanti. Se invece le temperature impediscono i giochi all’esterno, improvvisamente le ore della giornata si moltiplicano all’infinito, perché i bambini le passano chiusi in due stanze (una per i più piccoli e una per i più grandi) dove non hanno niente con cui intrattenersi.

C’è chi si dondola in un angolo, impaurito da chissà quale minaccia reale o immaginaria, chi se ne sta sdraiato in terra, forse per smaltire i calmanti somministrati, e chi invece è pieno di entusiasmo e voglia di divertirsi, ma impossibilitato nel farlo si sfoga camminando per la stanza cercando disperatamente un modo, anche il più semplice, per giocare.

Giochi, attività e cure mediche

Quello delle cure mediche è un altro tasto dolente, nonché uno degli elementi maggiormente posti sotto osservazione dai volontari comaschi. Anche in questo caso sono il grande numero dei ragazzi e la poca disponibilità di personale (la dottoressa è presente un solo giorno alla settimana nell’orfanotrofio) a rendere complesso inserire i bambini in un corretto percorso medico. Ma non è l’unico aspetto dell’organizzazione dell’orfanotrofio che chiede attenzione.Occorrerebbero stanze allestite con giochi e attività che tengano impegnati i bambini e un sistema idraulico più efficace rispetto a quello rudimentale attualmente esistente: oggi gli ospiti dell’orfanotrofio non hanno un sistema di scarico del wc e devono arrangiarsi con secchi d’acqua.

Un ponte umanitario tra Como e Chernivtsi: l’incontro dei volontari comaschi con i volontari ucraini

Ecco perché in quest’ultimo viaggio a Magal, che si è concluso domenica 5 ottobre, è stato provvidenziale l’incontro con un gruppo di volontari locali “Me Ucrayina Yedina” (Siamo una sola Ucraina) che al pari del gruppo comasco è intenzionato a rimboccarsi le maniche per cambiare le condizioni dei bambini per il meglio. I volontari ucraini in questione - solo sette, ma con forti legami sul territorio di Chernivtsi, centro cittadino vicino a Magal - sono guidati da Roman Molofyi, imprenditore edile e volontario che all’inizio della guerra ha costruito per le famiglie provenienti dal fronte un rifugio, nel quale oggi sono ospitate ben 267 persone.

Il confronto tra i due gruppi di volontari è avvenuto quasi per caso, in una mattina come le altre durante la quale il team di Como stava dedicando diverse ore al supporto attivo delle assistenti dei bambini, tenendoli impegnati con giochi e passeggiate. Proprio passeggiando hanno incrociato Roman, che si trovava in uno dei cortili che richiedono più manutenzione - lì, rasente il muro, ad altezza mano di bimbo, c’è persino un tratto di filo spinato - e stava lavorando insieme a una giovanissima artista ucraina a un murales. La curiosità per l’attività degli italiani è stata immediata: da lì all’incontro, in centro città, con un mediatore inglese, il passo è breve e l’esito della chiacchierata è quanto mai rincuorante: unendo le forze sembra sia possibile fare forse anche più di quanto i volontari comaschi avrebbero osato sognare all’inizio dei loro viaggi a Chernivtsi.

I progetti futuri

Il futuro ora appare più roseo per i bambini di Magal: nei prossimi mesi verrà valutata l’assunzione di personale specializzato, sarà migliorato l’impianto elettrico, si ristruttureranno le stanze interne creando un’area giochi attrezzata e delle camere con pareti in materiale morbido dove anche i bimbi più gravi possano trovare sollievo, con l’impiego di una strumentazione medica adeguata per evitare i fenomeni di autolesionismo e uno spazio dove possano muoversi senza farsi del male. Per ora è solo un progetto, che chiede però un contributo e un’attenzione costanti tanto da parte di chi si occupa di Magal da Como quanto da chi invece è attivo sul posto. Ma i semi di questa alleanza umanitaria internazionale sembrano davvero promettenti.

Lontano dalla guerra, ma anche dalle braccia della mamma: la storia di Nikolai

Nell’orfanotrofio di Magal c’è una stanza che profuma di speranza. Al muro, illuminati da una luce calda che filtra dalle tende ricamate, ci sono libri e poster di lettere dell’alfabeto, tradizioni dell’Ucraina e tutto ciò che fa pensare a un luogo dove un bambino possa crescere felice.

Qui Elena, una maestra ucraina che lavora anche in orfanotrofio, insegna quello che può ai pochi bambini ospiti che qualcosa riescono a imparare. «Non è possibile farlo con tutti - ci racconta, mostrandoci i sei quaderni dove i piccoli rifugiati si esercitano a scrivere - ma provo a prenderne da parte per qualche ora alcuni. Così conosciuto Nikolai, lui non dovrebbe stare qui ma in una scuola». Il riferimento è a un bambino biondo che viene dal Donetsk, dove ancora si trova sua madre, che l’ha mandato qui per metterlo al riparo dalle bombe e dai pericoli della guerra.

Ma, come abbiamo potuto toccare con mano nell’orfanotrofio, la guerra non si ferma sul fronte: i bombardamenti qui sono anticipati da altre ferite di guerra di non minor conto. Tra queste c’è il destino di un bambino, come Nikolai, che potrebbe andare a scuola, farsi degli amici, imparare ad amare la lettura e passare il tempo con i suoi coetanei. E che invece si trova in un orfanotrofio per bambini disabili insieme a persone con esigenze e fragilità ben diverse dalle sue.

Con lui siamo riusciti a superare la barriera linguistica e a comunicare grazie a Google Traduttore: «Sento spesso mia mamma - ci ha raccontato - qui non posso dire di essere triste ma nemmeno felice, perlopiù mi annoio: non succede molto nell’orfanotrofio e non sempre riesco a parlare con gli altri bambini o a farmi capire da loro. In ogni caso mia mamma verrà presto a prendermi». Un dettaglio che ricorda quanto sia subdola questa guerra della quale si fatica a vedere la fine. Ma la speranza di Nikolai diventa la nostra: la speranza che presto le bombe smetteranno di cadere, che presto i bimbi di Magal potranno essere accuditi e amati al meglio, che presto anche Nikolai avrà uno zaino da mettersi in spalla per varcare la soglia di una scuola. Scuola, speranza, pace: a Magal per ora queste parole descrivono solo un sogno.

Per maggiori informazioni su come sostenere il progetto “Magal Orphanage” potete contattare il numero 345 9053658.

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