A destra e sinistra poche idee e confuse

Ci sono due affermazioni dei giorni scorsi che rappresentano in maniera plastica lo stato di confusione e impotenza del nostro ceto politico. Poche idee e pure confuse. La prima è del premier, Giorgia Meloni, in piena tempesta da ritorno delle accise sui carburanti. Non abbiamo voluto prorogare lo sconto deciso dal governo Draghi, ha detto in soldoni l’inquilina di palazzo Chigi per non penalizzare i poveri. Il taglio delle tasse, infatti, è uguale per tutti e sono i ricchi che hanno vetture più potenti e a maggior consumo di combustibile. Si potrebbe sottolineare che quanto detto è contestabile anche sul piano tecnico. Oggi le vetture più costose e nuove, quelle a portata dei ricchi, sono dotate di motori costruiti per contenere i consumi pur mantenendo elevati livelli di potenza. Più facili che “beva” in maniera maggiore una vetusta utilitaria. C’è poi il segmento dei veicoli a motore elettrico, con prezzi certo non alla portata dei meno abbienti che benzina e gasolio neppure la conoscono. Infine arriva la questione politica.

La destra (vero che il presidente del Consiglio arriva da quella sociale) dovrebbe guardare più ai ricchi che non ai poveri, al limite rivolgersi a quei ceti produttivi che proprio per la loro mission hanno bisogno di spostarsi molto.

A poveri, peraltro, dovrebbe pensare la sinistra che però, almeno dalle parti del Pd, è in tutt’altre faccende affacendata. Lo dimostra la seconda affermazione su cui riflettere, di Enrico Letta, segretario uscente dei Dem che di fronte al pasticcio della maggioranza sul caso carburanti non ha battuto ciglio poiché impegnato con tutte le sue forze a decidere come fare e quando fare le primarie per scegliere il loro nuovo capo. Ci hanno dato la possibilità di fare un gol a porta vuota, si è sfogato Letta, ma noi eravamo impegnati in altro.

Certo il povero Pd privato del potere sembra davvero qualcosa senza un senso. Senza essere tacciati di blasfemia, viene in mente una vecchia scenetta di Giobbe Covatta con uno dei Re Magi che chiede all’altro “Cos’è la mirra?”, “Questo non l’hai mai capito nessuno”, è la risposta. Ecco lo stesso vale per il partito del Nazareno in crisi di consensi e di identità. Alzi la mano chi ha compreso qualcosa dell’appassionante dibattito pre congressuale. Magari un modo di prendere coscienza di se stesso per il Pd potrebbe essere quello di fare opposizione a una maggioranza che altrimenti si vede costretta ad arrangiarsi da sola e pure con discreti risultati a quanto pare. E anche da quelle parti il punto è quello della linea politica. Nei tre partiti che gli italiani hanno spedito a gestire il paese, ci sono tanti leader, ma non troppe idee. Questo determina un cortocircuito che rischia di compromettere lo storico avvento della destra con la sua (anzi il suo come preferisce lei) leader al governo. Anche qui l’ideale sarebbe quello di colmare un vuoto storico in Italia: la creazione di un partito conservatore sul modello europeo a cui si dovrebbe opporre, e alternarsi al governo una forza riformista. Vero Pd, altro che fare il tiro al bersaglio con i segretari e dare la caccia a fantomatici “ordoliberisti”. Due mission che appaiono impossibili, anche per la scarsa qualità di elaborazione e coraggio politico che c’è in giro. Ancora non si è capito, a quanto pare, che gli slogan sono una strada più facile, che però non porta mai lontano.

Destra e sinistra in crisi d’identità, come i proverbiali due litiganti, fanno godere il terzo. In questo caso inteso come polo e pronto a pescare consensi in libera uscita da entrambi gli schieramenti, non sarà di luce propria, ma almeno brilla, con Matteo Renzi che insiste nel profetizzare la caduta dell’esecutivo nell’anno 2024. E lui di queste cose se ne intende.

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