Calcio: la politica è sempre in fuorigioco

Questa volta la partita l’ha vista. Le telecamere Rai hanno più volte indugiato sulla tribuna vip di San Siro, durante Italia-Norvegia, per inquadrare Ignazio La Russa, presidente del Senato, pronto alla riconciliazione con Rino Gattuso.

La seconda carica dello Stato, che, in quanto tale, dovrebbe tifare Italia senza se e senza ma — anche se non è scritto nella Costituzione — non era stato tenero con il ct azzurro. Subito dopo la sua nomina aveva osservato che Gattuso non è così rappresentativo del calcio italiano e che sarebbe stato meglio puntare su Walter Zenga. Quando poi l’ex mastino del centrocampo del Milan aveva criticato i tifosi che avevano fischiato (e non solo) la Nazionale dopo la scialba vittoria in Moldova, La Russa era tornato all’attacco.

Il fatto è che il prestigioso esponente di Fratelli d’Italia fatica davvero a vestire i panni del “super partes” che il suo ruolo istituzionale richiederebbe. Come non si astiene dal prendere parte alle campagne elettorali per le regionali, così non rinuncia a far pesare il suo tifo interista. Peraltro, l’ottimo Zenga, che non ha un pedigree da allenatore di prima fascia, in Nazionale è ricordato soprattutto per quell’uscita sbagliata che favorì il gol di Caniggia e l’eliminazione dell’Italia dal Mondiale casalingo del 1990 in semifinale contro l’Argentina.. E anche la difesa dei tifosi da parte di La Russa fa pensare a una scelta “partigiana” (ammesso che l’aggettivo possa convivere con il presidente del Senato). Perché i contestatori sono stati subito etichettati come “di destra”.

Resta il fatto che — pur sapendo che è un’utopia — sarebbe meglio separare politica e calcio. Invece spesso accade che il secondo sia la continuazione della prima con altri mezzi, o viceversa. E curiosamente Rino Gattuso, che tra le sue virtù non ha certo quella di essere un fine esegeta delle manovre di palazzo, finisce sempre in mezzo.

Nel 2000, dopo la sconfitta dell’Italia contro la Francia al “golden gol”, l’allora capo dell’opposizione, ma prossimo al ritorno al governo, Silvio Berlusconi, entrò a piedi uniti sul ct Dino Zoff sostenendo che aveva sbagliato a non mettere Gattuso a uomo su Zidane. Del resto, il Cavaliere se ne intendeva di calcio: suggeriva le formazioni ad Ancelotti (chissà come avrà fatto a vincere anche dopo aver lasciato il Milan), e Nils Liedholm diceva di lui che “il presidente è competente perché ha allenato una squadra di condominio”. Inutile precisare che poco dopo il tecnico svedese era stato cacciato. Tornando a Zoff, dopo quell’affondo rassegnò le dimissioni: friulano e “hombre vertical”, anche quando giocava in porta si buttava solo se indispensabile. Tanto per ribadire i danni che la politica può fare quando decide di scendere in campo, perché se un leader del Parlamento può cacciare un tecnico che arriva secondo in una competizione continentale, cosa dovrebbero fare adesso Giorgia Meloni o Elly Schlein. Ah già ci pensa La Russa.

Unica eccezione, forse, è stata quella di Sandro Pertini allo stadio Bernabeu, durante la finale del Mondiale 1982 vinta sull’allora Germania Ovest. “Non ci prendono più, non ci prendono più!”, aveva gridato dopo il gol di Altobelli. Ma Pertini, a differenza di La Russa, una volta investito della più alta carica dello Stato, aveva smesso di essere socialista — cioè di un partito— ed era diventato solo italiano, quindi di tutti. E perciò tifava azzurro senza riserve, a prescindere dall’origine calcistica del ct, che era Enzo Bearzot e anche lui dalla politica ha avuto delle belle scocciature.

Altri politici, altri allenatori. E soprattutto altre Italie che i Mondiali li vincevano, e oggi invece faticano persino ad arrivare alla fase finale (toccando ferro in vista dei playoff).

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