Como in serie A. E se questo fosse soltanto l’inizio?

E se fossimo solo all’inizio? Se travolti da un insolito destino nell’azzurro lago di maggio ci risvegliassimo ancora più forti e ambiziosi? L’impressione, nemmeno troppo sotto traccia, è quella di essere al cospetto di un Rinascimento biancoblù, che - poggiando su radici solide e ben piantate - non possa che continuare a dare gioie e soddisfazioni. Come l’altra notte. Infinita. A ridere, gridare, gioire e abbracciarsi.

Il Como è in serie A, non ve ne foste accorti. Ventun’anni dopo. Provate un po’ a pensare alle cose che non avete fatto in questo periodo temporale. La società di viale Sinigaglia, ad esempio, è stata lontana (un po’ lungo) dal ballo delle grandi del calcio italiano. Non facendosi mancare nulla e attingendo dal peggio del corollario di ciò che nessuno avrebbe voluto vedere (retrocessioni, fallimenti, pantomime, finti proprietari eccetera eccetera).

Fino al rivedere un po’ di luce in fondo al tunnel - dopo il lampo abbagliante, ma subito spento, della presidenza Porro - , grazie alla gestione Nicastro/Felleca/Corda e alla genialata di riuscire a portare al tavolo il messia delle proprietà di calcio, che qui ha le sembianze della famiglia Hartono. Due di quelli - i fratelli - che, ogni anno, Forbes si affretta a inserire tra i più ricchi del mondo.

E a cambiare è stato sì un mondo, quello del Como. In un amen, con i crismi dell’imprenditoria che sa come si fa, ma senza mai farsi prendere dalla tentazione di spingere sull’acceleratore. Step by step.

Un passo alla volta. Mai nascondendo obiettivi e ambizioni, ma fissando di volta in volta i tempi. Scegliendo i collaboratori più congeniali al progetto, decidendo in partenza chi fa e che cosa e guardando sempre avanti. Con un piede, anzi due, ben piantati sul territorio.

Eccola qui, l’arma vincente. L’approdo, molto rispettoso, in casa altrui. La condivisione delle strategie e l’attuazione del programma. Con basi solide, mai campate in aria e, anzi, sempre in linea con quanto anticipato. Michael Gandler ha gettato le basi, Dennis Wise ne ha raccolto il timone e dato la spinta al progetto sportivo, Mirwan Suwarso ha garantito appoggio e risorse e Carlalberto Ludi ha rappresentato quella linea di continuità fondamentale quando si decide di programmare sul corto e medio periodo .

Vincente la scelta di diventare fin da subito “una di noi”, perché la società non ha mai smesso di vivere la quotidianità del territorio. Il calcio, ovviamente, come core business, ma tutto il resto a dimostrare che c’è di più e che, quando si vuole, si può o si deve fare. Qui, ora, non c’è una proprietà e basta. C’è una holding. Che in pancia ha lo sviluppo sportivo, del marketing e dell’immagine, della comunicazione e della charity. A ciclo continuo, una componente intersecata all’altra. E non fa nulla che la casa madre sia Como 1907 o Sent, l’importante è che il modello funzioni e resti vincente.

Ha aiutato, e non poco, la disponibilità economica. Ha dato la svolta, e tanto, la fame e l’ambizione di un fuoriclasse come Cesc Fabregas. Ha tenuto tutto in piedi, e i risultati lo dimostrano, l’entusiasmo del personale tutto. Quel capitale umano che si è sentito apprezzato e che sempre ha dato il meglio.

Il bello deve ancora venire, ne siamo certi. Prepariamoci allora a un’estate di sorprese. A un mercato di quelli che non abbiamo mai visto (le prove generali a gennaio invitano all’ottimismo) e a una stabilizzazione di un paio di stagioni in serie A, prima del nuovo passo in avanti che chissà quanto ancora potrà fare sognare.

Mai, come in questo caso, si è vista una partecipazione di pubblico così importante. Altro segnale da non sottovalutare. Non era facile pescare in un bacino così esigente, sarà meno difficile trovare tanti altri nuovi fans. Siamo solo all’inizio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA