Gli stipendi dei politici: polemiche e ipocrisie

La miserabile storia della repubblica delle banane insegna che quando tutti danno addosso a uno - ma proprio tutti, nessuno escluso - è molto facile che quell’uno abbia ragione.

Il caso Fassino, ad esempio. Nei giorni scorsi l’ex segretario dei Ds, dopo aver difeso in aula i cosiddetti stipendi d’oro dei parlamentari, è stato massacrato da destra, dal centro e, soprattutto, da sinistra. Pagliaccio, mascalzone, buffone, cialtrone, vergognati, ventriloquo della casta, mangiapane a ufo, e poi fai il comunista e osi dire che cinquemila euro al mese (che invece sono il doppio!) non sono uno stipendio da ricchi e dove vivi e vivi su Marte mentre la gente non ce la fa più e la gente non arriva a fine mese e i bambini in lacrime chiedono “pane, pane!” e bla bla bla. Insomma, sono giorni che il cadavere di Fassino penzola attaccato per i piedi al lampione social di piazzale Loreto.

Bene. Bravi. Siamo tutti orgogliosi. Alla fine, ce l’abbiamo fatta a fare carne di porco del mestiere del politico e come siamo fieri nel dare aria alla bocca, esibire la nostra bava, straparlare di cose che non conosciamo, impartire pillole di etica con il ditino alzato. Perché la politica è inutile, i partiti sono inutili, le istituzioni sono inutili ed è ora di finirla ed è ora che il popolo faccia da solo perché questi pensano solo a mangiare e a rubare e a trafficare, perché loro sono sporchi e noi siamo puliti, loro sono corrotti e noi siamo puri, loro sono il male e noi siamo il bene. Non la pensiamo tutti così? E figurarsi cosa poteva accadere quando Fassino ha affermato che anche l’abolizione del finanziamento pubblico è stato un errore, così come il taglio dei parlamentari, due provvedimenti ultrademagogici di cui l’attuale classe politica dovrà prima o poi rendere conto.

Ora, il punto non è ovviamente il profilo di Fassino, al di là del fatto che ha una capacità incredibile di pronunciare la frase sbagliata nel momento sbagliato che gli è valsa la fama di menagramo professionale: appena dice una cosa, avviene l’esatto contrario. Il tema è che a forza di certificare la politica come lo schifo assoluto - refrain che da Tangentopoli in poi è diventato patrimonio condiviso di tutte le formazioni, nessuna esclusa - si è arrivati al punto di passare da una prima Repubblica popolata da diversi mascalzoni, alcuni capibastone, parecchi funzionari e qualche statista, alla terza Repubblica, affollata invece da una mandria di analfabeti, svariati manipoli di mercenari e plurimi masanielli che non vedono un centimetro al di là del loro naso, dell’ultimo tweet o dell’ultimo sondaggio. Basti pensare che il presidente del consiglio, che, assieme a Renzi, è di gran lunga il più sveglio del mazzo, è una che fino all’altro ieri ululava sulla “sostituzione etnica” e sui “blocchi navali” e adesso che c’è lei gli sbarchi di clandestini - nell’assordante silenzio dei media, chissà perché? - sono il triplo di due anni fa.

E noi pecoroni, noi popolo bue, noi salmerie con l’anello al naso quanto riteniamo che debba essere pagato il politico ideale? Diecimila euro al mese sono troppi? E anche cinquemila? E anche tremila sono una vergogna, come declamava l’altro giorno tutto arruffato in tv un emergente del nuovo Pd, uno di quelli che sembrano usciti da un’assemblea del liceo? E quindi quanto? Duemila euro? O forse mille? Qual è la cifra giusta? Forse zero? Forse devono lavorare per la gloria e noi gli allunghiamo un centone in nero, come facciamo con il giardiniere? E quindi la politica “a gratis” se la possono permettere solo i ricchi e i ladri? Oppure gli imbecilli? Che però, come noto, abbondano a prescindere dal reddito e affollano le categorie professionali di ogni genere e modello, a partire dalle direzioni dei giornali, ovviamente…

Grazie a questa grottesca deriva pauperistica abbiamo ridotto l’aula di Montecitorio a una fermata del tram, dove si accalcano figuri esattamente identici a noi, mentre dovrebbero essere migliori, e di molto: somari, ignoranti, piagnoni, lazzaroni, pecoroni, servi, scappati di casa, gente senza arte né parte, mere espressioni delle corporazioni e delle filiere familistico amorali, governati da pochi capetti dotati di una gnosi da Bar Sport. E questa è gente che deve indirizzare la nostra politica estera - la politica estera! -, la nostra politica economica - la politica economica! - e tutto il resto che decide le sorti della nazione.

Cosa c’è di sbagliato nel pagare profumatamente un grande dirigente, un grande manager, un grande intellettuale, un grande politico, appunto, che si occupi dei programmi di sviluppo dell’Italia dei prossimi trent’anni? Un esempio pratico. Non è giusto dare diecimila euro al mese ai componenti della commissione che redige la nuova riforma Gentile della scuola, che studia tutti i modelli educativi del mondo, sente tutti gli esperti, tutti i docenti, tutti i formatori e a fine mandato consegna il nuovo modello dell’istruzione pubblica e paritaria che va dall’asilo all’università e pianifica la preparazione dei giovani del prossimo mezzo secolo? Non sarebbe una riforma epocale? E cosa vogliamo dargli a quelli che la scrivono, novecento euro? E se lo devono pagare loro l’affitto a Roma, il treno, l’aereo, i segretari, i portavoce? Torniamo alla domanda di prima, è un mestiere che deleghiamo ai ricchi e ai ladri? Escludiamo per sempre le intelligenze senza risorse dalla possibilità di fare politica? Che democrazia è?

Il problema, se non lo si fosse ancora capito, non è l’indennità dei parlamentari. Il problema sono “questi” parlamentari. Questo è il problema. E la cosa peggiore è che questi qui, questi qui che quando li incroci e ci parli otto volte su dieci ti vergogni per loro - e per noi - è che li abbiamo votati noi, li abbiamo scelti noi, con la nostra delega in bianco, il nostro menefreghismo, il nostro populismo straccione che annulla il merito e le competenze e secondo il quale chiunque può fare qualsiasi cosa.

E infatti, eccoci qui...

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