

Roberto Maroni si congeda proprio il giorno in cui Matteo Salvini, suo successore alla guida della Lega che ha perso la parola “Nord” nella sua ragione sociale, annuncia che chiederà all’Unione europea uno stanziamento per realizzare il ponte di Messina. Si sa che tutto si tiene. Ma l’ultimo blues, triste come possono essere solo i blues, di “Bobo”, sembra davvero la sigla finale su quello che era il movimento inventato da Umberto Bossi, anch’egli malmesso e in ospedale, per tutelare gli interessi delle popolazioni del Nord, con buona pace del ponte sullo Stretto.
Maroni diceva, a ragione di essere la “mamma” della Lega visto che il Senatur nel rivendicava la paternità. Ed è persino inutile rievocare i tempi in cui le latte di vernice che i due utilizzavano per imprimere slogan nordisti sui cavalcavia delle autostrade, si rovesciavano nella 500 messa a disposizione dalla madre del futuro ministro degli Interni. Non era un legame facile quello tra Bossi e Maroni, anzi. Ma solido sì. Tant’è che l’allora capo indiscusso del Carroccio, che aveva l’espulsione facile dei dissidenti, decise di perdonare il suo braccio destro che non condivideva la sfiducia al primo governo Berlusconi, di cui Bobo fu, appunto titolare del Viminale, il primo non dc dalla nascita della Repubblica.
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