Il caos dei partiti
genera un Draghi bis

“Ve lo meritate voi, Alberto Sordi”, diceva lo strepitoso Nanni Moretti di Ecco Bombo. Di questo passo però gli italiani finiranno per meritarsi Mario Draghi, che con l’attore di tanti successi ha in comune solo le origini romanesche.

Quando manca meno di un anno alle elezioni politiche, con la guerra e la conseguente crisi in atto, sotto il cielo della politica italiana regna la confusione più assoluta. In tutti gli schieramenti. A destra se si ode uno squillo di tromba è solo quello di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d’Italia. La leader ha dominato la scena del weekend del Primo Maggio nella convenzione in cui le ha cantate più agli alleati che non agli avversari. I rapporti all’interno della coalizione che con un po’ di forzatura si può definire moderata sono ai minimi storici. Divisi e ostili su tutto: dalle candidature alle imminenti elezioni comunali, alla linea rispetto al conflitto tra Russia e Ucraina e sulla leadership della pattuglia, rivendicata non a torto da Meloni forte di sondaggi che danno il suo partito a lottare per il primato con Carroccio, in affanno, e Forza Italia piattamente stabile, ben staccati. Quest’ultima, soffre, giocoforza, la presenza intermittente di Silvio Berlusconi che ancora non ha trovato un erede e, a questo punto, tutto fa pensare che non lo troverà mai. Anche Matteo Renzi che pure più di un pensierino ce l’aveva fatto, sembra ormai bruciato.

La Lega vive una fase amletica. Il suo “capitano” Matteo Salvini, dopo la debacle sull’elezione del capo dello Stato non ne ha più azzeccata una. Si è pure eclissato per qualche giorno, salvo poi riapparire brandendo il vessillo della pace tra Putin e Zelensky, una scelta lontana anni luce da quella di FdI e forzisti. Per pensare che questo centrodestra possa governare compatto bisogna davvero fare un bello sforzo. La legge elettorale in vigore che impone coalizioni forzate di certo non aiuta. Peraltro nel Carroccio sembrano essere scomparsi tutti: dov’è il Dottor sottile Giorgetti? Che fine hanno fatto i governatori alla ribalta Zaia e Fedriga? Sembra un’attesa silente prima di una resa di conti interna.

Le regole per il voto non agevolano neppure l’altro campo, quello del centrosinistra e dei Cinque Stelle in perenne fase di implosione. Anche qui la “guera” come diceva sempre l’Albertone nazionale sta rovinando qualcosa: in particolare i rapporti già non facili tra un Pd sempre più democristianizzato e gli alleati che vogliono ancora indossare qualcosa di rosso, magari un po’ antico. Per tacere delle interazioni con i pentastellati e il loro leader Conte impegnato h 24 a sgambettare il governo , magari in combutta più o meno consapevole con Salvini, a cui la partecipazione nella maggioranza sembra fare l’effetto di un paio di scarpe più piccole di un numero.

Dalle parti del Nazareno si sono accorti del rischio di finire in un cul de sac e hanno ritirato fuori l’idea del proporzionale puro (guarda caso il sistema su cui si è retta la Dc per quasi 50 anni) che consente di fare campagna elettorale e voto con le mani libere per scegliere poi le alleanze.

Ma, al di là del fatto che neppure chi lo propone crede che questo Parlamento frustrato e frastagliato riiuscirà nel cimento, ammesso poi che i partiti riescano a mettersi d’accordo, sarebbe solo un modo di rinviare il problema.

Insomma se il centrodestra (favorito) non troverà uno straccio di sintesi o dall’altra parte non riusciranno a cucire una sorta di mantello di Arlecchino, salterà fuori ancora dal solito cilindro quirinalizio il “tecnico”. E gli italiani senza averne colpa si rimeriteranno Mario Draghi o chi per esso.

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