Il colore della cultura: il dibattito più triste

Tra il destrismo e il sinistrismo, in Italia, come da comprovata e consolidatissima tradizione, è destinato a vincere sempre il paraculismo.

Uno dei temi più spassosi che animano il dibattito della repubblica delle banane dopo la vittoria elettorale di Giorgia Meloni e che è proprio in questi giorni al centro della kermesse di Atreju è proprio il tema della liberazione dalla dittatura dell’egemonia culturale di sinistra, che ha gramscianamente imprigionato l’Italia dal dopoguerra ai giorni nostri e il conseguente avvento della salvifica cultura di destra. Dei suoi valori. Dei suoi numi tutelari. Del suo Pantheon. A partire, appunto, da Atreju, il protagonista del romanzo “La storia infinita” di Michael Ende, da cui è poi stato tratto un film di grande successo, e che rappresenta l’anelito alla libertà di un giovane ricco di ideali che combatte contro le forze del Nulla.

Ora, a parte il fatto che tanto il libro quanto il film sono due mattonazzi retorici, bamboleggianti e insopportabili e che se si voleva individuare un autore veramente anti sistema, veramente anti conformista, che avesse la capacità di mettere a fuoco la crisi del Novecento con i suoi orrori, i suoi abissi e i suoi demoni forse sarebbe stato meglio pensare a Céline o a Junger o a Rezzori, giusto per buttare lì qualche nome tra i tanti, il punto della faccenda non è questo.

Il punto vero, quello spassoso, come si diceva prima, è che tutto questo affannarsi ansiogeno e sudaticcio a esibire, a sbandierare, a sventolare testi sacri, profili carismatici e letture profondissime ha ben poco a vedere con la conoscenza, con lo studio e con la ricerca accademica, quanto invece moltissimo con il cadreghino, lo strapuntino, la consulenza, la promozione, la direzione. E’ vero che ci sono quelli che, come si diceva ai tempi d’oro, hanno vissuto per trent’anni nelle fogne e che ora, spesso in maniera scomposta ma psicologicamente comprensibile, rovesciano il tavolo e urlano al mondo “adesso comandiamo noi!”, è vero che ci sono alcuni intellettuali molto seri, quali ad esempio Franco Cardini e Marcello Veneziani, che invece vivono questo assalto alla diligenza opportunista e carrierista con grandissima amarezza, perché loro erano di destra quando la destra era una pezza da piedi, certificata da un pezzo di rara intelligenza e disillusione di qualche giorno fa sulla “Verità”.

Ma sono minoranze. Infime minoranze. La grande massa, la grande mandria, il grande branco dei sedotti, ammaliati e folgorati dalla cultura di destra sono sostanzialmente gli stessi che fino a ieri (chissà perché?) erano stati sedotti, ammaliati e folgorati da quella di sinistra e che così come fino a ieri non si perdevano un solo libro della paccottiglia conformista, terrazzista, salottista, perbenista, moralista con il ditino alzato e la verità in tasca dei vari Veltroni, Bignardi, Gramellini, Murgia, Piccolo, Raimo e svariate altre dozzine di ridicoli autori di - una volta - grandi case editrici diventate - oggi - ridicole case editrici, tutti quanti impegnati a fare incetta di menzioni, recensioni e premi Strega (ho visto lei che premia lui che premia lei che premia me…) adesso mandano a memoria le pesantissime mille pagine di Tolkien o gli imperdibili saggi su Prezzolini del ministro Sangiuliano (quel curioso personaggio che vota al premio letterario senza aver letto i libri e che pare uscito dalla penna di Flaiano: “bellissimo il tuo articolo, dopo lo leggo”…) con lo stesso servilismo di Fantozzi quando si specializza nel cinema espressionista tedesco per entrare nelle grazie del potentissimo professor Guidobaldo Maria Riccardelli.

Bene, premesso che le categorie di destra e sinistra applicate alla cultura non hanno alcun senso, se non quello, appunto, di marchiare un’appartenenza di partito o di filiera, e che il vero intellettuale è quello che le filiere le manda tutte quante a quel paese, in cosa consisterebbe lo scontro ideale tra questi e quelli? Forse nelle risse da cortile, da osteria sul fascismo e sull’antifascismo impersonato da quel grottesco loggionista della Scala e dall’ancor più grottesco dibattito che ne è seguito? Forse nella disputa tra i due totem del confronto ideologico, e cioè il sinistro Patrick Zaki e il destro Pino Insegno? O forse anche nell’allarme democratico e, naturalmente, antifascista sull’occupazione a plotoni affiancati della Rai da parte delle camicie nere di Fratelli d’Italia che hanno fatto piazza pulita della Bcc italiana (certo, come no…) per sostituirla con l’Istituto Luce 4.0 (buonanotte…)? Un allarme che fa ridere i polli e che si bevono solo i tonti, perché in Rai, che rappresenta la vera metafora del paese, non c’è davvero alcun bisogno di purgare o epurare o ghettizzare i giornalisti perché appena cambia il vento sono (quasi) tutti lì belli pronti, con il cappello in mano e la lingua sguainata, a sdraiarsi sotto le suole dei nuovi padroni del vapore. Padroni di sinistra? Viva viva la sinistra! Padroni di destra? Viva viva la destra! Padroni tecnici? Viva viva Monti&Draghi! Che categoria meravigliosa…

Il mimetismo, l’omologazione, il maquillage, il familismo, l’amichettismo, il consociativismo, il conformismo, il paraculismo, appunto. E’ questa la melina eterna e vincente. Il minestrone sembra che cambi, ma è sempre lo stesso perché è sempre fatto dagli stessi fanghigliosi ingredienti. E allora tu puoi così organizzare le mostre che vuoi su Giovanni Gentile o su Yukio Mishima, ma è evidente che è tutta fuffa, tutto marketing, tutta cosmesi, così come quelle su Berlinguer o su Calvino o su Pasolini dall’altra parte. Mentre forse sarebbe meglio se tutti quanti si ricordassero che Pasolini, benché fosse leggerissimamente di sinistra, ma che era un intellettuale vero, forse non un grande scrittore e regista, ma di certo un intellettuale formidabile, diceva e scriveva sul progresso, sul movimento studentesco e sull’aborto cose profondamente “reazionarie”. Ditelo a Saviano e Lollobrigida.

© RIPRODUZIONE RISERVATA