Il taglio dei politici
e la difesa a tre

Due parlamentari, rispettivamente di Como e Cantù, si chiamano Laura Ravetto e Licia Ronzulli, entrambe elette con Forza Italia. Si sono distinte per molte iniziative, in particolare la seconda, molto vicina al leader Silvio Berlusconi, e segnalata come persona molto influente. Il terzo esponente azzurro locale, eletto nella lista proporzionale, è il simpatico Adriano Galliani, fresco di promozione in serie B con il suo Monza.

Cos’hanno fatto questi tre politici per il territorio che li ha mandati a Roma? Non si sa. Con ogni probabilità nulla, non fosse altro perché conoscono poco (forse con l’eccezione di Galliani) la nostra realtà. E se l’hanno incontrata è stato di sfuggita in campagna elettorale. Insomma, quasi a metà legislatura, di questi tre potremmo fare a meno senza neppure accorgercene. Questa sarebbe una riduzione di parlamentari sensata. Un taglio “verticale” non “orizzontale” come quello della legge bandiera dei Cinque Stelle su cui tra una ventina di giorni gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi attraverso un referendum confermativo, quello in cui il “sì” significa “sì” e non “no” come nella maggior parte dei voti di questo tipo proposti soprattutto negli ultimi trent’anni che erano “abrogativi” e richiedevano un quorum del 50% più un voto. La consultazione del 20 e 21 settembre sarà valida anche se, per assurdo, andassero a votare solo 10 persone o anche meno. E già questo la svuota parecchio di interesse. C’è poi un certo meccanicismo che accompagna il referendum a cui sono legate le ultime speranze del parlamento con quasi mille componenti: volete che vi sia qualcuno, con l’aria da anti politica che emerge da ogni social o altro media, che voglia non prendersi la soddisfazione di castigare “quelli là”, lavativi ruba stipendio (faraonico) e in certi casi anche ruba galline? Con ogni probabilità andrà così anche se rispetto alla partenza dell’iter della legge, trascolorato anche nel grottesco e vedremo perché, un po’ di cose sono cambiate. Innanzitutto nei partiti. I Cinque Stelle, infatti, per raggiungere il risultato sono riusciti nell’impresa di accattivarsi il favore della Lega prima e del Pd, poi. Entrambe queste forze politiche, e qui risiede l’aspetto grottesco, più che per convinzione hanno appoggiato l’iniziativa per evitare di alienarsi l’appoggio dei grillini nei rispettivi governi di cui hanno fatto o fanno parte. Gli altri partiti sono andati a ruota, perché nessuno voleva tenere in mano il cerino di difensore della “Casta”. Morale, adesso, sul “sì” ci sono in giro tanti di quei mal di pancia che non basterebbe una fabbrica di Maalox. I dem, in gran parte poco convinti, sono spaccati. Ma questa non è una grande notizia. Da quando è venuto alla luce, quel benedetto partito, è diviso quasi su qualunque cosa. E ci sarà chi, nella parte che proviene dall’ex Pc, avrà nostalgia di quel centralismo democratico che per queste cose era una mano santa. Ma anche altrove serpeggiano i dubbi. In Fdi Giorgia Meloni ha imposto il sostegno al sì ma adesso, al pari di Matteo Salvini, si rende conto che un successo dei no avrebbe l’effetto di una scossa di terremoto del settimo grado sul governo Conte. Anche in Forza Italia non vi è una posizione univoca, mentre Italia Viva di Renzi è sempre più tiepida e persino tra i promotori pentastellati emergono dei distinguo. Alla fine sembra essere rimasto il solo Giggino Di Maio a sventolare con convinzione il vessillo del “sì”. Molti intanto rilanciano il tema vero che però si sarebbe dovuto affrontare prima: il taglio puro e semplice dei parlamentari, senza una riforma complessiva che vada dalla legge elettorale, al ridisegno dei collegi così garantire un’equilibrata rappresentanza territoriale è solo tessera e distintivo, cioè demagogia e pasticcio.

Le Camere resteranno due e con le medesime funzioni. Il che significa il consueto rimpiattino di leggi appesantito dall’alleggerimento delle commissioni chiamate a licenziare i provvedimenti. E poi alcuni territori, al netto degli eletti “paracadutati” (vedi sopra Ravetto & C.), non saranno più rappresentati a Roma e comunque, se non si cambia la legge elettorale, gli eletti saranno per lo più scelti dalle segreterie di partito.

Questa legge su taglio dei parlamentari è un po’ come la difesa a tre nel calcio. Praticata e mitizzata dai suoi sostenitori perché dovrebbe aggiungere un uomo alla manovra offensiva, finisce in realtà spesso per toglierlo, diventando a 5.

Resta da capire, poi, dopo che il Covid ha ribaltato tutte le nostre priorità, diventando, purtroppo, una fortissima arma anche di distrazione di massa dalla politica, quanto gli italiani si scalderanno per il referendum taglia parlamentari.

D’altra parte è destino che, in Italia, che di riforme istituzionali avrebbe bisogno come il pane, queste ultime arrivino sempre in mondo frettoloso e raffazzonato. Vedi quella modifica al Titolo Quinto della Costituzione, voluta dal centrosinistra nel 2000 per tentare di evitare una sconfitta elettorale (puntualmente arrivata) in un periodo in cui, specie al Nord albergava un’attesa messianica di un qualunque federalismo, che è alla base dell’attuale caos tra Stato e Regioni nella gestione della pandemia. Oppure di quell’altra, anno 2006, arrangiata da alcuni esponenti illuminati del centrodestra tra cui Giulio Tremonti e Roberto Calderoli in una baita dal Cadore tra una polenta e capriolo e una grappa bianca secca, poi bocciata al referendum.

Vedremo cosa sarà di quest’altra riformicchia. Anche se, è meglio ricordarsi che l’istinto di conservazione della Casta è sempre molto forte. E anche nel caso prevalgano i “sì” non è detto che le cose poi vadano come vorrebbero gli elettori che, si sa, contano sempre molto meno degli eletti (nomen omen).

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