La donna al potere
rompe gli schemi

Quando si parla di politica tendiamo sempre a farci affascinare dagli schemi, i retroscena, le tattiche, le strategie, i doppi binari, le convergenze parallele, i cencelli, le filiere, le rendite di posizione, i messaggi cifrati, le alchimie, le conventicole, i consigliori, le eminenze grigie, i pontieri, gli sherpa e bla bla bla…

Ma poi ci si dimentica che, in fondo, gli uomini - e le donne, naturalmente - sono solo uomini. E che le questioni personali contano, anche in un mondo che non prevede questioni personali, perché, come diceva quello là che non era un politico ma che ci vedeva benissimo, le questioni personali non hanno niente a che vedere con gli affari. E invece contano. E pesano. E incidono. Così come gli odi, molto più degli amori, come sempre - l’odio è un sentimento mille volte più potente dell’amore - i livori, i rancori, le frustrazioni e, in questo caso, da una parte la voglia di “uscire dalle fogne”, dall’altra la disperata pulsione a non mollare niente, a tenere tutto, ad aggrapparsi alla poltrona, a morire come Molière, sul palcoscenico, mentre si recita l’ennesimo atto dell’eterna commedia del potere.

E’ una chiave di lettura non politica, quindi - questa lasciamola volentieri agli specialisti del mestiere - quella più utile per comprendere sino in fondo la crisi devastante esplosa in queste ore nel centrodestra, che ancora prima di formare il governo è già saltato per aria (il centrosinistra, invece, come consueto, si era fatto esplodere in tempi non sospetti). E che, al di là dei mille risvolti politici e delle mille analisi politologiche, si basa in sostanza su una cosa sola. Nell’impossibilità psicologica, culturale, attitudinale, addirittura fisica, da parte di Berlusconi e di Salvini di prendere ordini da una donna. Tutto qui.

I giornali di ieri hanno giustamente insistito sul feroce contrappasso, sulla punizione divina comminata al Cavaliere, di venire sfregiato e abbattuto (per quanto lui abbia mille vite e magari riuscirà a venirne fuori pure stavolta…) da una figura femminile. Di cui lui si è sempre circondato nella sua lunga vita e nella sua lunghissima carriera, ma sempre relegandola in un ruolo ancillare, sottomesso, secondario, stuoli di cooptate, beneficiate e miracolate che mai e poi mai hanno neanche osato pensare di metterlo nel sacco. Di approfittarne sì, eccome, e tra le approfittatrici le celebri olgettine sono le meno scandalose, ma commissariarlo, emarginarlo e addirittura sostituirlo, di certo no.

E la questione non è poi tanto diversa per Salvini, che in tutta la sua fisiognomica, in tutta la sua postura, in tutto il suo linguaggio da comizio trasuda sempre maschilismo, uno scalpiccio machista che faceva già parte del bagaglio oratorio di Bossi, a dir la verità, e che è stato preso a schiaffi e a ceffoni nelle urne, con l’umiliante sorpasso operato da Fratelli d’Italia in regioni strategiche come la Lombardia e il Veneto.

Loro, i due, non lo accettano. Non c’è momento della giornata politica nel quale questa insofferenza, questo astio, questa ripulsa istintiva non emerga e non spurghi, non c’è dichiarazione nella quale non si legga il sottotesto “cosa ci inventiamo oggi per farle picchiare il naso?”. E se anche dopo il patatrac dell’elezione di La Russa e del pizzino avvelenato di Berlusconi, il leader leghista è stato sveltissimo nel mollarlo e ad allinearsi alla sferza di Meloni il discorso non cambia. Lui non lo accetta. E’ per questo che il vero inferno per il premier, oltre alla situazione economica e internazionale, naturalmente, non sarà affatto l’opposizione, ma i suoi due alleati. Ed è lì che si vedrà quanta tela avrà da tessere.

Ma la tenacia, quasi la violenza, con cui ha imposto il suo diktat è obiettivamente interessante. Ora, siamo tutti ben consci che non stiamo parlando della Thatcher - e forse sarebbe meglio ricordarlo a qualche garrulo collega che da qualche giorno si sta srotolando (chissà perché?) in inchini e salamelecchi e zerbinate manco fosse di fronte a Golda Meir - così come quando parliamo di Berlusconi e Salvini non è che ci vengono in mente De Gaulle e Adenauer, però bisogna dire che la sua posizione è molto utile per sbugiardare alcuni vieti luoghi comuni.

Tanto per cominciare, si dimostra che una donna può comandare da sola, può fare il numero uno senza arginarsi nel ruolo della lady consorte o della delegata pro tempore alle pari opportunità, e che può essere dura, spregiudicata e spietata tanto quanto un uomo.

Secondo, dimostra pure alle nostre garrule e petulanti e pigolanti e insopportabili suffragette del #metoo all’italiana che passano le loro giornate a piagnucolare e a frignare perché la società italiana è maschilista (vero) e che i posti di potere vanno sempre agli uomini (vero) e che le possibilità di carriera sono molto minori per le donne (vero), che da che mondo è mondo il potere nessuno te lo regala o te lo concede o te lo omaggia perché sei donna o sei nero o sei gay o quello che volete voi, e perché dobbiamo essere tutti quanti tanto educati ed empatici e progressisti. Il potere te lo prendi. E per prendertelo devi far fuori i tuoi concorrenti. E che le quota rosa - una delle misure più ridicole, ipocrite e grottesche cavate fuori dal fariseismo del politicamente corretto - può sì riempire i consigli comunali o i consigli di amministrazione di “donne pupazzo” o “donne copertina” senza che però cambi di un millimetro la stanza dei bottoni.

Meloni il potere se lo è preso, senza mai parlare di quote, senza mai flirtare con il femminismo d’accatto che infesta l’immaginario collettivo e il mondo dell’informazione (uno degli ambienti più sgradevolmente maschilisti mai visti, tra l’altro…), senza straparlare delle donne che sono meglio degli uomini (e perché mai?) e altre sciocchezze da rivista patinata che si sfoglia dal parrucchiere.

Uomo o donna pari sono. E su questo, almeno su questo - perché su tutto il resto è pura eresia - Meloni è davvero degna della Thatcher.

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