La guerra nucleare? I problemi sono altri

“Gufi” si sarebbe tentati di chiamarli, visto il lavoro che fanno. Il nome ufficiale è invece “Atomic Scientists”, organizzazione che raggruppa un drappello di ricercatori uniti nell’impegno di avvisare il mondo dei rischi che sta correndo, in particolare (ma non solo) sul poco simpatico fronte di un’ipotetica catastrofe dovuta allo scambio di testate nucleari tra nazioni belligeranti.

È ovvio che, con un compito del genere, non c’è modo per l’organizzazione di evitare una certa aura da menagramo: parlano, quelli di Atomic Scientists, quando le cose si mettono male, quando i rischi si fanno pressanti ed eccessivi, anche se lo fanno per tempo, concedendo all’umanità la possibilità di ravvedersi e di fare del mondo un luogo sicuro.

Per meglio adempiere alla sua missione, l’organizzazione ha inventato un “Orologio dell’Apocalisse” (altro bel nome da scongiuri): si tratta di un orologio virtuale, o meglio ancora metaforico. Sul suo quadrante, la mezzanotte segna l’ora irrimediabile, irrecuperabile, dell’Armaggedon, ovvero della catastrofe fatale: più le lancette sono lontane da questo istante, più il mondo può respirare e vivere in (relativa) sicurezza.

Ebbene, appena un paio di giorni fa l’Atomic Scientists ha dato un’occhiata all’Orologio dell’Apocalisse e ha fatto un balzo sulla sedia: alla mezzanotte più buia e vergognosa dell’umanità mancano appena 90 secondi. Come si è detto, sono secondi virtuali, teorici, misura del rischio e non del tempo effettivo. Ma sempre secondi sono, e sempre soltanto 90.

A spingere un indice di rischio così elevato c’è ovviamente l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il conseguente conflitto tutt’ora in atto. Che l’epilogo di questo confronto possa essere una scazzottata nucleare non è affatto escluso: anzi, secondo gli scienziati in questione, è probabile al punto da aver portato il loro Orologio a scandire un countdown che sembra tratto di peso da un film d’azione. In mille pellicole abbiamo assistito al climax della bomba che sta per esplodere: i secondi volano a ritroso, c’è poco tempo, appena qualche istante. Riuscirà il nostro eroe a disinnescare l’ordigno e salvare il mondo? Certo che ci riuscirà, è per questo che abbiamo pagato il biglietto.

Nella realtà, lo sappiamo bene, le cose vanno diversamente: le bombe – non tutte, per fortuna – esplodono, gli eroi arrivano in ritardo o non arrivano, e comunque di personaggi disposti all’altruismo più estremo non se ne trovano più, visto che tutti siamo impegnati a coltivare orticelli individuali e ci occupiamo sempre meno delle aiuole pubbliche. Eppure, nonostante l’evidenza, il monito dell’Atomic Scientists, pur riportato dai media di tutto il mondo, è stato accolto con sostanziale indifferenza, ha perlopiù raccolto commenti ironici e, come accennato, accuse di “gufaggine”. Forse ne abbiamo sentite troppe di previsioni catastrofiche, forse coltiviamo segretamente la speranza e la convinzione empirica che, comunque, il disastro non ci toccherebbe da vicino. Oppure questa faccenda dell’Orologio dell’Apocalisse è cosa troppo astratta, teorica, per avere l’impatto emotivo e razionale allo stesso tempo che quelli di Atomic Scientists vorrebbero ottenere.

L’errore, temiamo, è loro: probabilmente non si rendono conto di come il pericolo di un conflitto termonucleare globale, così come i rischi indotti dal cambiamento climatico e perfino quelli delle mutazioni nei virus, nella lista di priorità della gente comune viene dopo – molto dopo – l’affitto, la rata dell’automobile, il mutuo, il deficit di attenzione manifestato dal figlioletto a scuola e il prosciugamento dei giga nella scheda telefonica. Siamo ormai programmati per crisi a breve termine, ovvero per vivere lo stress di giornata e poco altro. Ai grandi problemi e alle grandi soluzioni deleghiamo quelli per cui andiamo a votare. In fondo, ci giustifichiamo, è per questo che si va a votare. Ma è perché stiamo messi così che poi votiamo chi votiamo.

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