La Terza Repubblica
scimmiotta la Prima

Echeggiano nell’aria le note di “La Prima Repubblica non si scorda mai…”, geniale parodia di Checco Zalone. Il problema però è che dovremmo essere nella Terza. Il problema dei problemi è che i protagonisti di quest’ultima sono nani che vogliono emulare coloro che appaiono giganti e non del tutto per i loro meriti passati. Renzi come Craxi, Conte nei panni di Andreotti senza gobba, Zingaretti novello Berlinguer, Meloni “almiranta” ecc.. Poi uno si stupisce se spunta fuori la verifica, impolverata come le ricevute fiscali del primo film di Cetto La Qualunque Antonio Albanese, termini e prassi che si credevano sepolti e putrefatti come la Balena Bianca.

Allora come oggi a invocare la verifica era qualcuno affamato di poltrone che però apparecchiava la richiesta con un plateau di motivazioni ideali che più alte non si può, sempre nel nome del supremo interesse della Nazione e della collettività tutta. E si è visto com’è andata a finire, per la Nazione e la collettività perlomeno, visto che all’epilogo del tormentone uno strapuntino saltava sempre fuori. Oppure se scappava la frizione, arrivava la crisi di governo, con il rimpasto, la nomina di un nuovo presidente del Consiglio, o ancora, se conveniva ai più, le elezioni, “naturalmente” anticipate (geniale avverbio che Paolo Villaggio mette in bocca al suo Fantozzi). Perché con la verifica, all’epoca e a quanto pare anche oggi, si sa come si comincia ma non in che modo si finisce. Lo capisce bene anche Giuseppe Conte, evaso per qualche minuto dal pantano della politica politicante per lanciare l’ennesimo proclama sul cliché del parodiato generale Pariglia, nel capolavoro monicelliano “Vogliamo i colonnelli”. L’alto ufficiale, un po’ rimbambito per l’età mischiava le parlo della frase cruciale del discorso “c’è un grande passato nel nostro futuro”. In fondo il concetto è lo stesso ribadito dal premier a ogni Dcpm: “Tutto tornerà come prima”, quando non è dato a sapere.

E quindi vai di verifica che hai visto mai?, si è detto Renzi. Il quale ha portato l’affondo nel momento di maggior debolezza del premier di cui gli italiani cominciano, ed è comprensibile, a stancarsi. Adesso c’è la tregua natalizia. Ma dopo? Cosa vuole il Monello di Firenze, si chiedono tutti? Risposta non impossibile. L’ex di tante cariche è uomo di potere come sono tutti i politici, ma forse un po’ di più. E a questo anela. Pur di tornare a palazzo Chigi farebbe i patti con qualunque diavolo anche quello raffigurato dall’altro Matteo che, non a caso, si è strofinato un po’ con il suo omonimo, facendo scattare l’allarme in casa della sospettosa Giorgia Meloni che l’ha subitamente richiamato all’ordine. La situazione però rimane fluida. Magari l’Italia che vivacchia di Renzi si accontenterà di un ulteriore ministero per il leader o Maria Elena Boschi. Oppure alzerà il tiro, con la coscienza incosciente per cui il partito delle elezioni anticipate è largamente minoritario in Parlamento.

Ma il problema sta proprio nelle riducende assemblee che non rappresentano più la realtà dell’elettorato. Forse solo il Pd ha una pattuglia corrispondente all’attuale consenso. I Cinque Stelle sono ultra sovradimensionati, Lega e Fdi viceversa. Chiaro che senza il Covid tra i piedi, magari Mattarella avrebbe fatto il gran gesto dello scioglimento di Camera e Senato, una volta ridisegnati i collegi da adeguare al taglio degli eletti. Invece il Quirinale è costretto ad azionare il consueto campionario di moniti, rampogne e inviti all’unità della coalizione. Conte però non ci starà a lungo a fare la parte di quello che balla sulla corda e magari tiene in caldo la poltrona per qualcun altro.

Il redde rationem tra il premier e i suoi alleati, nel perfetto sia pure un po’ caricaturale, stile della Prima Repubblica con le sue manfrine e i suoi astrusi concetti inintellegibili per il popolo è solo all’inizio. Molti sono consapevoli che questa maggioranza è come un complicato castello di carte: se sbagli a sportarne una finisce che viene giù tutto. Vedremo se vi sarà qualche malaccorto manipolatore. A noi, oggi come ieri, basterebbe un governo che riesca a fare il suo in una situazione dove davvero tra Covid e crisi economica c’è poco da pensare ai minuetti da corridoi poco illuminati (in tutti i sensi) di palazzo. Ma tant’è.

© RIPRODUZIONE RISERVATA