L’arrocco di Meloni sul caso benzina

«Ma come è facile la vita dell’opposizione. Questo non va bene, quest’altro è contro le donne, questo è contro gli operai, questo è contro le minoranze». Chi si ricorda “Il Portaborse” film in cui Nanni Moretti interpretava Botero, un ministro della Prima Repubblica? Forse la scena sarà venuta in mente a Giorgia Meloni, che ha passato la giornata di ieri arroccata come uno scacchista in difficoltà sul caso delle accise per la benzina e il gasolio.

La vicenda è nota a tutti, automobilisti e non. Il governo Draghi, per fronteggiare l’impennata dei prezzi dei carburanti dovuta a guerra e inflazione, aveva disposto il taglio provvisorio di una parte delle imposte che lo stato chiede ai produttori, ma che di fatto pagano gli utenti. La misura aveva una scadenza e prevedeva anche il dimezzamento dello sconto.

Arrivato il governo Meloni, il presidente del Consiglio ha lasciato le così come sono perché altrimenti, forse, i conti non sarebbero tornati. Il problema è che nel programma elettorale aveva fatto intendere che l’intervento sulle accise sarebbe stato in qualche modo strutturale. Del resto, Matteo Salvini, già quando era ministro nel primo governo di Giuseppe Conte, si era scagliato contro questo balzello, citando in maniera errata il suo utilizzo per finanziare problemi già superati come la guerra di Etiopia o il disastro del Vajont. In realtà è dal 1993 che le accise si utilizzano per puntellare esclusivamente il bilancio dello Stato, ma la sostanza non cambia.

Purtroppo, dato che i media ormai, dopo l’avvento del digitale non dimenticano più nulla, non è difficile reperire su internet la presa di posizione del leader della Lega, così come un video di qualche anno fa girato da Giorgia Meloni da un benzinaio in cui si scandalizza per la quota che lo Stato incamera sul suo pieno.

Altri tempi, ha dovuto dire ieri l’inquilina di palazzo Chigi. Del resto, il Consiglio dei ministri convocato sul caso benzina il giorno prima ha potuto solo partorire il topolino dell’obbligo per i gestori degli impianti di carburante di indicare assieme al costo praticato anche quello medio in Italia. Un’informazione che, peraltro, qualunque cittadino può trovare in pochi secondi utilizzando un motore di ricerca sul web.

Del resto se si andasse a vedere bene di promesse mancate relative alle accise sui carburanti se ne troverebbero parecchie e per bocca di esponenti un po’ di tutti i partiti.

Adesso però sotto i riflettori c’è il centrodestra. Quello di Giorgia Meloni ha agito come qualunque altro governo. Le tasse sui carburanti sono troppo comode e facili da incassare perché le persone devono comunque muoversi che sarebbe da matti (almeno vista dalla parte dello Stato) ridurle o eliminarle. Ma il fatto di lasciarle e anzi, di doversi intestare giocoforza il loro ripristino, certo non gioverà alla popolarità del premier. E c’è pure da scommettere che qualcuno dei suoi alleati terrorizzato dai sondaggi che vedono il consenso del suo partito calare di continuo, prima o poi tirerà fuori qualche numero sull’argomento così da mettere in difficoltà il governo.

Del resto, come dice il ministro Botero, fare l’opposizione è facile. E si potrebbe dire, anche più redditizio. Perché se Fratelli d’Italia, il partito di cui Meloni è leader, ha potuto conquistare il consenso che lo ha portato a trionfare alle elezioni è soprattutto perché è stata all’opposizione degli ultimi tre governi, al contrario degli altri partner della sua coalizione, che hanno partecipato ad almeno uno. Una volta quando le vacche erano grasse e c’era lo scudo delle ideologie, governare portava consenso. Ora che non c’è molto da elargire diventa penalizzante. Certo un’elevata qualità politica potrebbe aiutare, ma questo forse non il caso dell’esecutivo in carica.

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