Le tasse, gli evasori. E l’esempio americano

Una ventina di anni fa chi scrive questo pezzo ha scoperto di essere ricco a sua insaputa.

Come ogni primavera era uscito il report sui redditi dei contribuenti italiani, a cui lui non aveva mai fatto caso, anche perché non si occupava di fisco e tributi, materia di una noia mortale. E invece stavolta, forse spinto dalla sua recente promozione a caporedattore prima di questo giornale e poi di un quotidiano nazionale - mica pizza e fichi - si era accorto di essere ricco. Ma ricco davvero.

I dati inconfutabili scolpiti nella pietra dal ministero dell’Economia dicevano infatti che apparteneva a una fascia di reddito che lo poneva all’interno del 2% di contribuenti con il reddito più alto. Quindi, il 98% degli italiani guadagnava meno di lui. Accidenti. C’era da andarne fieri, da gongolarsi, da baloccarsi, da gratificarsi, da mettere su un atteggiamento da fenomeno, da nababbo, da uno che si accende il sigaro con una banconota da cento, che lancia monetine ai diseredati fuori dal finestrino eccetera eccetera. Anche se non riusciva a spiegarsi come mai nel posteggio dove lasciava l’auto prima di andare in ufficio la sua berlina fosse regolarmente le più brutta e scalcagnata di tutte, in mezzo a un trionfo di Audi, Bmw, Mercedes, Maserati e via lussureggiando. Mistero.

Figurarsi quando è stato promosso direttore ed è quindi entrato, grazie al raggiungimento del ruolo apicale, nella fascia di reddito dei nababbi dell’1%, che significa che il 99% degli italiani era meno ricco di lui. E che toni e che piglio e che occhi di bragia e che arie da pascià che si è fatto da sé, da fenomeno dell’editoria, da Rockefeller del basso lago, da viceré che accarezza bambini biondi e guarisce gli scrofolosi con la sola imposizione delle mani. Eppure anche qui era un bell’enigma. Come mai il suo amico pizzicagnolo, che dichiarava 25mila euro l’anno, aveva una casa tre volte più grande della sua e pure quella al mare e pure quella in montagna, e lo stesso anche l’accenditore di lampioni della via sotto e pure il raccoglitore di birilli del piano di sopra? Com’era mai possibile che uno ricco, ma così ricco, ma così platealmente ricco facesse la vita del travet e la domenica andasse in gita a Bergamo Alta e invece tutti quelli più poveri di lui avevano la barca e il weekend se la spassavano a Saint Moritz?

Ora, questo sapido aneddoto che si ripete ogni volta che escono i dati sui redditi e che ogni anno lo riempie di buonumore - ma che a tratti gli fa urlare “Wilma, dammi la clava!” – è tornato d’attualità in questi giorni dopo le dichiarazioni del viceministro all’Economia Maurizio Leo a proposito del prossimo, dell’ormai prossimo, anzi, del più che certo e garantito taglio delle tasse per i redditi sopra i 50mila euro lordi l’anno. Per l’amor del cielo, niente di nuovo, sono le solite cose che dicono tutti, destra, centro e ogni tanto pure sinistra, sono le solite balle sull’urgenza urgentemente urgente di dare sollievo al ceto medio, che è la vera spina dorsale della nazione e che paga sempre per tutti e che è vessato da tutti, ma adesso si cambia marcia, si cambia passo, succulento pusigno in vista della rivoluzione fiscale, che spingono però a due riflessioni.

La prima è che non se ne farà niente, perché un provvedimento del genere è finanziabile solo tramite un radicale taglio della spesa statale, che invece è insita nel Dna di questa destra, di questa sinistra, di questo centro e di questa Italia di bonus, sussidi, pensioni, prepensioni, ammortizzatori, famiglie, filiere, clientele e amici degli amici, oppure da un taglio altrettanto radicale dell’evasione fiscale. Anche se, a questo punto, a uno viene da sorridere, anzi, da sghignazzare visto che stiamo parlando di un paese che naviga e galleggia e veleggia e troneggia su ampi oceani sconosciuti di evasione fiscale a tutti i livelli, dalla multinazionale digitale alla cooperativa di salatori di aringhe. E questo spiega la storiella di quello che è più ricco del 99%, ma che continua a non avere una lira. Non è forse così, putacaso?

La seconda riflessione ancora più spassosa è la reazione della sinistra all’ipotesi di riduzione delle tasse di cui sopra. E cioè indignazione, riprovazione e crocifissione: e basta e vergogna e mascalzoni e farabutti e togliete ai poveri per dare ai ricchi e infamia sociale e guai a chi protegge i latifondisti e dagli al padronato plutocratico, classista, fascista e antidemocratico e tutto il resto delle scempiaggini che ci siamo sorbiti in questi giorni. Perché se uno pensa che chi guadagna 2.500 euro al mese in un territorio come questo sia ricco o si è fumato qualcosa di pesante o si è bevuto il cervello oppure è prigioniero di un camice ideologico che gli fa perdere qualsiasi contatto con la realtà. E pure le prossime venti elezioni consecutive, perché il pauperismo straccione e gruppettaro condanna di per sé all’irrilevanza.

Che è poi l’altra faccia della medaglia demagogica rappresentata dalla destra, con il suo rapporto fanghiglioso con la cultura del condonismo e del sommerso che ha motivazioni elettorali talmente plateali che non è neanche il caso di spiegarle, perché il solo vedere oggi la difesa a oltranza del contante è una roba talmente penosa da far venire da piangere. O da ridere, che è pure peggio.

Eppure la soluzione ci sarebbe. Basterebbe applicare il sano modello americano (non bulgaro: americano!) che nonostante quello che pensano le nostre intellighenzie è un paese civile. Le tasse si abbassano drasticamente – possiamo dire che a nessuno, nemmeno ai milionari, si può chiedere più del 35%? – e si eliminano tutte le vessazioni e le persecuzioni borboniche tipiche del nostro Stato. Perfetto. Però se poi ti becco ad evadere, te ne vai in galera. Non al concordato, all’accordo, alla deroga, al giudice di pace, alla transazione, al patteggiamento, ai servizi sociali e tutto il resto. No. Te ne vai dritto filato al gabbio. Facile. E allora perché non viene in mente a nessuno?

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