Lo stadio bandolo,
la città matassa

Magari per caso, in maniera malaccorta, senza programmazione o logica. Ma vi sono cose che succedono di cui bisognerebbe tenere conto nella gestione e nello sviluppo di una città. Due sono accadute a Como, vicine vicine. La prima riguarda il cantiere delle paratie. Anzi, del lungolago perché, visto l’andazzo sulla gestione del livello del lago, la barriere anti esondazione rischiano di aver davvero un’esistenza riposante.

Comunque i lavori sono finalmente partiti, si è consumato quasi il tempo di una generazione. Ma adesso tutto lascia pensare, con i debiti scongiuri visti i precedenti, che si arriverà in fondo e avremo finalmente un lungolago nuovo di zecca. Una passeggiata degna cornice del quadro dipinto ogni giorno dello strepitoso e unico panorama del primo bacino che sembra essere più forte anche del Covid. Sì, perché i turisti sono già tornati, anche quelli stranieri. Al netto degli americani che ancora non possono ma, c’è da esserne certi, una volta liberi di poterlo fare ripiomberanno in massa: a partire magari dal loro capofila, George Clooney, che quest’anno si è fatto rimpiangere in quel di Laglio. Rispetto alle previsioni, color nero inchiostro di seppia, dei tempi cupi del lockdown si può anche osare un mezzo sorriso.

Il prudente riapparire degli ospiti stranieri, nonostante tutto quanto è successo e con l’immagine da lazzaretto che la Lombardia proiettava all’esterno solo pochi mesi fa, significa che il richiamo di Como è davvero forte. Siamo un brand solido e, una volta passata del tutto la nottata, c’è da pensare che si ripartirà alla grande. Ecco perché è positivo che si sia avviato l’ormai canuto cantiere, così come, al di là delle pur doverose puntualizzazioni su ritardi e finanziamenti svaniti (una specialità di palazzo Cernezzi) si metta finalmente mano a quell’obbrobrio anche sociale che sono diventati i giardini a lago negli ultimi anni. Il lungolago e i giardini, un’area strategica per il presente e il futuro che conoscerà una vita nuova probabilmente ricca di soddisfazioni. Il paradosso è che lì a due passi c’è la zona stadio, quella che sembrava essere partita più avanti di tutti ma si è già impantanata. Ecco, adesso bisognerebbe riflettere sulle due cose accadute senza essere legate più di tanto tra loro e tirar fuori il vecchio proverbio per cui non c’è due senza tre. Insomma agganciare anche l’area stadio per avere un compendio turistico e anche a servizio della città di prim ordine. La vicenda del recupero del Sinigaglia e del comparto circostante sembra scontare alcune contraddizioni che non sono o non del tutto ascrivibili al Comune e a quella parte di società civile che ha avuto da obiettare sulla richiesta di concessione per 12 anni avanzata dal board del Calcio Como. Il rischio, come già accaduto è che salti tutto e si rimanga lì come adesso, oltretutto con l’effetto nuovo lungolago e giardini rifatti a stridere ancor di più.

Allora, tanto per cominciare, si potrebbe mettere già qualche paletto. Il primo: lo stadio, inteso come “casa” del Calcio Como, deve restare dov’è a bagnarsi i piedi nel lago. Perché il treno per lo spostamento fuori città è già passato e non ci si è saliti sopra. E adesso trovare qualcuno, non il pubblico chiaro, che abbia voglia di affrontare l’impresa appare un’utopia fuori tempo. Anche perché l’unico privato interessato, il Sinigaglia vuole lasciarlo dov’è. Altrimenti manco ci si metteva. E poi la presenza della squadra cittadina lascia più tranquilli anche sulle funzioni future della struttura che, in coerenza con il contesto urbanistico e architettonico in cui si trova, deve mantenere la vocazione sportiva. Che però, e qui c’è da piantare il secondo paletto, non può e non deve essere esclusiva. Lo stadio cioè deve acquisire una dimensione polivalente e aprirsi ancora di più alla città, tutto. Il resto, inteso come contesto dell’area, verrebbe da sé. Alla partita possono partecipare tutti coloro che sono interessati a farlo e hanno qualcosa da dire. Come ha scritto su queste colonne, Alberto Longatti, ci vuole un “confronto senza pregiudizi”. Anche verso chi, come gli ormai famosi 11 big, ha avanzato qualche riserva sulla proposta del Calcio Como e chiede di ripensare il destino dell’area stadio, in un contesto più ampio che comprenda tutta l’idea di città. Vero, però, per districare qualunque matassa bisogna prima trovare il bandolo. E se quest’ultimo fosse proprio l’area a lago con il Sinigaglia?

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