Ma Como predilige i toni bassi e lo stiletto

Chi vusa pűsé la vaca l’é sua” è un vecchio detto in voga anche a Como. Ma la nostra non è una città abituata a strillare, casomai a sussurrare, al limite — e forse soprattutto — a mugugnare. E se proprio si tratta di colpire qualcuno, si utilizza lo stiletto e non la bombarda.

Queste parole sono a uso e consumo del sindaco del capoluogo, perché di questo passo, in “vacca” rischia di finirci, se non è già successo, il consiglio comunale. Ormai, nell’aula nobile di Palazzo Cernezzi, andrebbero collocate le porticine sospese che, nel Far West, introducevano ai saloon, dove si facevano risse a colpi di sorsate di whisky e si sparava sul pianista.

Qui, a lanciare fendenti contro gli avversari, è proprio il suonatore: il primo violino, che ambisce forse a ergersi a intera orchestra o a coro a unica voce. Lo fa pensare il silenzio — in primis di Fulvio Anzaldo, presidente del consiglio comunale — che, per restare in tema, appena sibilano i proiettili si china per ripararsi; e poi quello della maggioranza, addirittura più silenziosa di quella che sfilava per Milano negli anni di piombo.

Allora, però, il mutismo era utilizzato per contrastare gli estremismi; qui, a quanto pare, per non disturbare quelli verbali del primo cittadino e di parte della giunta. Così si evince dalle dichiarazioni del capogruppo della lista Rapinese, Gianfranco Rossetti, intervenuto in consiglio solo per spiegare che si tace allo scopo di non intralciare le manovre di governo.

Ma ripetiamo quello dell’attuale primo cittadino: non èlo stile della città di Como, e neppure lo è stato dei sindaci che da Giuseppe Terragni in avanti hanno preceduto l’attuale.

L’argomento probabilmente non farà presa sul don Lisander dei nostri giorni, visto che uno dei suoi tormentoni consiste nella demonizzazione di chi ha amministrato in precedenza la città. Ma negare i meriti e l’aplomb di un Antonio Spallino, di un Lino Gelpi e di altri, sembra davvero un’impresa fantascientifica.

Neppure rientra nella cifra della nostra comunità questa sorta di “sfida al Como Corral”, ingaggiata con l’Associazione Carducci. Al di là dei torti e delle ragioni che pendolano tra una sentenza e l’altra dei giudici, il Comune non si trova di fronte a pericolosi pistoleros, ma ad attempati intellettuali e appassionati di cultura. Un po’ di garbo — senza “s” finale — anche nelle procedure di sfratto, non ci sarebbe davvero stato male.

Como non ha bisogno di un sindaco don Chisciotte che vaga febbrilmente per la città, munito di lancia con il fido Sancho Anzaldo, in cerca di nemici da sgominare, veri o immaginari. Serve invece un governante illuminato, con una visione lucida, in grado di gestire il non facile momento storico che stiamo attraversando. E magari anche capace di ascoltare qualche suggerimento, senza escluderlo a priori, basandosi solo sulla fonte da cui proviene.

Nella politica, la tattica di urlare, inalberarsi e alzare polvere è tipica di chi si sente in difficoltà perché non riesce a realizzare quanto promesso. E poiché Rapinese si proclama in continuazione antitetico a queste figure, c’è da essere certi che non sia questa la ragione del tanto agitarsi. Ma allora, qual è?

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