Meloni, il rischio di troppe promesse

Giorgia Meloni è una politica preparata che non si risparmia. Però anche per lei il salto dalle comode posizioni dell’opposizione (ricordate Nanni Moretti ne “Il Portaborse”?) al governo del Paese non è stato facile. Al netto degli sfondoni inanellati dai componenti del suo cerchio magico e familiare, talmente numerosi da far pensare a una strategia, il premier (al maschile come ama essere chiamata) si è trovata di fronte a una serie di problemi anche non prevedibili solo un anno fa come l’impennata dell’inflazione, il calo dell’energia e soprattutto l’incremento esponenziale dell’arrivo dei migranti.

Per una che, in campagna elettorale, aveva fatto del benessere economico e del contenimento dell’immigrazione le sue promesse principali è stata certamente una botta. Impossibile mantenere quanto annunciato per i problemi del debito, aggravato dall’aumento dei tassi d’interesse e dell’avvento di stranieri sul suolo di un paese che è anche il confine d’Europa e che, come al solito, viene lasciato solo a gestire questa emergenza.

Meloni ha perciò tutte le attenuanti possibili se con questa manovra dovrà far nozze con i fichi secchi, senza che i suoi concittadini possano trarne particolari benefici, con l’eccezione di coloro che potranno approfittare dell’ennesimo condono annunciato dal vice premier Matteo Salvini.

Del resto, gli italiani, pare siano consapevoli della situazione se fanno fede i sondaggi che vedono FdI, il partito del premier cedere solo una piccola parte del consenso e non a beneficio dell’opposizione. Allora forse, Meloni avrebbe fatto meglio, nelle dichiarazioni in cui tracciava un bilancio del primo anno alla guida del Paese, a evitare annunci di riforme epocali di scuola e fisco, da mettere in cantiere nel 2024. Perché in questo modo non ha fatto altro che riproporre il film già visto in campagna elettorale, con le promesse poi impossibili da mantenere. Vero che questo è ed è sempre stato, almeno negli ultimi tempi, il refrain di gran parte dei politici di casa nostra. Nessuno che ricordi l’ormai lontana lezione di Alcide De Gasperi, uno dei pochi veri statisti della storia d’Italia, il quale sosteneva che è sempre meglio promettere meno di quanto si possa mantenere. Se non altro così si ha la certezza di non fare brutte figure e soprattutto di apparire credibili quando tocca rimettersi di nuovo al giudizio popolare. Certo, la memoria degli elettori si è accorciata, ma fino a un certo punto. Altrimenti non avremmo questo tasso record e crescente di astensionismo alle urne. Ma continuare ad alimentare aspettative che poi non si realizzano non giova.

Quasi tutti i predecessori di Giorgia Meloni sono caduti in questo errore. Lo hanno fatto in maniera più eclatante Salvini con la Lega che dal 40% è passata dal 10 e il Movimento Cinque Stelle, fortemente ridimensionato dopo la trionfale vittoria alle politiche del 2018. Magari poi veramente il prossimo anno vedremo realizzate quelle riforme annunciate dal premier. E forse da qui ad allora miglioreranno le condizioni economiche e sarà possibile disporre di maggiori risorse. Ma tutto questo è indipendente dagli annunci. L’unica certezza è che, a prescindere dalle forche caudine che attendono il presidente del Consiglio (su tutte l’esito delle elezioni europee proprio nel 2024), cinque anni senza risultati concreti finiranno, com’è già accaduto, per abbattere il consenso e indirizzare buona parte degli elettori nella ricerca di un nuovo, ennesimo, uomo o donna, della provvidenza. Con la speranza che sia la volta buona.

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