il potente non parla con il giornale? Peggio per lui

Una quindicina di anni fa chi scrive questo pezzo lavorava come capocronista in un quotidiano molto aggressivo e di gran successo diretto da Vittorio Feltri.

E in occasione di una chiacchierata con quello che, piaccia o non piaccia, è un mostro sacro dell’editoria e che, dopo una lunga serie di clamorosi exploit, con quel nuovo prodotto da lui fondato stava vivendo il suo apogeo - nessuno in Italia dopo Scalfari ha mai aumentato così tanto le vendite come Feltri, ha ipnotizzato così tanti nuovi lettori, ha intuito prima degli altri le vibrazioni profonde nella pancia degli italiani - aveva avuto modo di ascoltare un paio di lezioni memorabili.

La prima era il motivo per cui ogni volta che dirigeva un giornale puntasse sempre sui mesi estivi. La risposta era stata lapidaria: in vacanza gli italiani hanno tempo per leggere - attenzione, eravamo in un’epoca ancora predigitale: poi è cambiato tutto - e quindi bisogna dargli un giornale particolarmente ricco di contenuti. Invece il paradosso è che i giornali stampano un sacco di pagine nelle altre stagioni, quando la gente lavora e non ha tempo, e poche in estate, quando invece la gente il tempo lo avrebbe: “E sai perché? Perché i giornalisti vogliono andare tutti in ferie ad agosto e si disinteressano completamente delle esigenze dei lettori, visto che pensano solo alle proprie”. Illuminante.È come se un panettiere aprisse alle undici perché non ha voglia di svegliarsi alle quattro. E aveva ragione, perché i giornalisti scrivono i più vanesi per sé, i più carrieristi per il direttore, i più servi per l’editore. Nessuno, o quasi nessuno, per il lettore. D’altra parte, a chi interessa dei lettori?

Ma poi fece un’osservazione ancora più profonda: “Lo sai qual è il momento dell’anno nel quale un capo è davvero in grado di capire il valore di un cronista? Agosto. E sai perché? Perché è tutto chiuso. Il municipio è chiuso, il tribunale è chiuso, le associazioni di impresa e sindacali pure. Non arriva neanche un comunicato stampa. A quel punto il cronista di razza, il giornalista squalo, tira fuori il talento per fare un’inchiesta autonoma. Il cronista scarso, il giornalista tonno, che vive in branco, va in crisi”. Formidabile.

Fa quindi sorridere quando qualche potente si offende e non parla più a un certo giornalista, a tutti i giornalisti o addirittura al giornale in quanto tale. E fanno sorridere l’agitazione, le crisi d’ansia, le crisi di panico, le sedute di autocoscienza autofagica dei redattori che si sentono mancare la terra sotto i piedi, si sentono sprofondare, orfani, abbandonati al loro destino perché il deputato, l’assessore regionale o addirittura il sindaco - che per i media territoriali è di gran lunga il soggetto più importante – non gli parla più. La reazione, di solito, è di tre tipi: l’autoflagellazione (sono una merda, non valgo niente, dove ho sbagliato?), il servilismo fantozziano (signor megasindaco, abbia pietà, mi si sono intrecciati i diti!), il trombonismo complottista (ecco i poteri forti contro la libera stampa democratica e antifascista, ma non ci piegheranno!). La prima fa tenerezza, la seconda è spassosa, la terza trascolora nel puro grottesco.

A chi scrive questo pezzo stanno simpatici tutti i sindaci dei territori di Como, Lecco e Sondrio, perché fanno un lavoro fondamentale, con tutti gli occhi addosso e in condizioni difficilissime, ben diverse da quelle di certi peones che scaldano le terga in Parlamento al triplo dello stipendio. In particolare, gli sta simpatico il sindaco di Como, Alessandro Rapinese, perché si ricorda i lunghissimi anni di opposizione solitaria, durante i quali ha ingurgitato tonnellate di letame nell’angolo degli appestati (un po’ come la Meloni…), l’oggettiva preparazione su tanti dossier, l’amore sincero verso la città che gli riconoscono anche i nemici più acerrimi, oltre ad avere la fortuna di arrivare dopo una serie di amministrazioni disastrose (un taxi vuoto si è fermato davanti a Palazzo Cernezzi: è sceso Landriscina…).

Certo, su alcuni temi strategici ha preso decisioni criticabili, perché onestamente non è che fare un parcheggio nel cuore del capoluogo sia proprio una visione da statista. Ma su questa pratica può esibire due buoni argomenti: ha sempre detto che avrebbe fatto così e quindi non ha ingannato i suoi elettori e dopo quarant’anni di chiacchiere e distintivi di svariati Giolitti e De Gasperi forse un parcheggio è meglio di un calcio nei denti.

Proprio per questo motivo, c’è tutta una corrente di pensiero che ritiene che questo giornale lo tratti troppo bene, non lo critichi a sufficienza, non lo incalzi a dovere, che si comporti nei suoi confronti un po’ come Vespa con il premier (qualsiasi), con il contorno ronzante di una pletora di blogger falliti e di sedicenti opinionisti tutti d’un pezzo, che in tutta la vita non hanno mai messo il naso fuori da Lipomo - tanto per dire il livello - a impartire lezioni di giornalismo anglosassone, di giornalismo d’inchiesta, di giornalismo d’assalto e bla bla bla. Una roba da tenersi la pancia dalle risate. E infatti il risultato di questa piaggeria è che lo stesso Rapinese di cui sopra non ci parla più da un paio di mesi - poco servilismo? troppo servilismo? - con le conseguenti crisi esistenziali delle quali si diceva all’inizio e che invece il direttore del giornale ha già risolto con un olimpico chissenefrega. Se non parla lui, parlerà qualcun altro. Magari dell’opposizione. Sempre se esistesse un’opposizione.

A un certo punto, anche Letizia Moratti ha iniziato a non parlare più con “Libero” - che era pure della sua parte - e infatti dopo ha perso il ballottaggio con Pisapia. Allo stesso modo pure i sindaci di Como Bruni, Lucini (peraltro persona specchiata) e Landriscina non hanno più parlato con “La Provincia”.

E non è che sia finita benissimo per tutti e tre. Anche perché, come Rapinese sa perfettamente, visto che è un uomo intelligente, chi non è sulla “Provincia” è come se non ci fosse.

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