Prigozhin e il golpe visto dall’asilo

Una delle leggi più antiche del mondo recita che, quando ci sono di mezzo gli esseri umani, la dimensione grottesca prevale sempre su quella tragica.

Ad esempio, sarebbe stato davvero interessante chiedere a Mario Monicelli quanto il sedicente colpo di Stato tentato nei giorni scorsi dal mercenario russo Evgenij Prigozhin gli ricordasse il suo film “Vogliamo i colonnelli”, irresistibile e spassosissima parodia del golpe Borghese, con un Ugo Tognazzi mai così strepitoso nei panni del neofascista trait d’union tra colonnelli rimbambiti, generali in trattamento di quiescenza e consigliori della dittatura greca, tra i quali spiccava per sagacia e intelligenza criminale il truce colonello Andreas Automatikos. Da ammazzarsi dalle risate.

Ma l’aspetto più divertente della vicenda - per quanto possa apparire paradossale, visto che in Ucraina è in atto una tragedia vera - non è neppure questo. La cosa più incredibile è che quando il conducator del Gruppo Wagner ha deciso di passare il Rubicone e marciare verso Mosca tra due ali di folla plaudenti e osannanti, nel circo mediatico nostrano, nel carrozzone dell’informazione del Belpaese, già assennata, autorevole ed ectomorfica di suo, si è scatenato l’inferno. All’improvviso, come lumache dopo un acquazzone estivo, sono spuntati e sgorgati e sbocciati da ogni giornale, ogni televisione, ogni radio e, soprattutto, poveri noi, ogni social, nugoli e frotte e branchi e mandrie e plotoni affiancati di esperti di politica estera e di geopolitica e di storia sovietica, russa e zarista che, mentre sul video scorrevano implacabili le immagini del colpo di mano dell’uomo più feroce del mondo, hanno iniziato a illustrare il perché e il percome e a raccontartela e a spiegartela e a salmodiare e a pontificare e a discettare e a trombonare sull’evento che - segnatevi questa frase – avrebbe cambiato la storia del secolo.

E pensavano e ponzavano e si grattavano la pera e davano la linea e adesso, ragazzi, è una catastrofe e adesso, signora mia, salta tutto e adesso Putin è spacciato e adesso è finita la dittatura di Putin e adesso Putin conta meno di me a casa di mia suocera e ora chi prenderà in mano la valigetta nucleare e chi c’è dietro e a chi giova e io l’avevo detto in tempi non sospetti e io l’avevo già scritto e io lo conoscevo bene ed è come dopo la sconfitta con i giapponesi nel 1905 ed è come dopo la sconfitta nella guerra mondiale nel 1917 ed è come dopo la sconfitta in Afghanistan nel 1989 e Barzini junior e Malaparte e Bettiza e Montanelli e Solzenicyn e Salamov e Grossman e bla bla bla. Putin chi?

Ed è stato davvero stupefacente osservare quanti colleghi, in quel giorno buio e tempestoso, avessero ed esibissero una cultura accademica, normalista, enciclopedica della storia, la cultura e la filosofia del popolo russo. E tra questi premi Pulitzer del mestiere spiccava naturalmente anche chi scrive questo pezzo, al quale non è sembrato vero di sdottoreggiare in lungo e in largo in redazione sull’eternità del male eterno dell’eterna Russia e sul russo del sottosuolo e su Gogol’ e Puskin e Cechov e Tolstoj, senza dimenticare Goncarov e Turgenev e, soprattutto, La corazzata Potemkin (18 bobine!) e come tutto fosse sostanzialmente già scritto e che lo aveva già detto quello là che la Russia è un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma, insomma, tutta una giornata di lavoro a sentenziare su questo e su quello. Mentre, intanto, dagli altri tremila esperti del settore divampava l’immagine del mostro Prigozhin, del diavolo Prigozhin, del soldato di ventura di Prigozhin, del Macbeth Prigozhin, dell’Hannibal the Cannibal Prigozhin, del Keyser Soze Prigozhin, del massacratore degli ucraini e dei revisionisti e dei traditori della Santa Madre Russia Prigozhin, in un delirio di idealizzazione e mitizzazione e demonizzazione che alla fine, parafrasando il Fellini di “Amarcord” durante la parata militare dei fascisti a Rimini, ha fatto convenire tutti quanti sull’inevitabile conclusione che «Prigozhin c’ha due coglioni così!».

Il giorno dopo, all’improvviso, Prigozhin era diventato una macchietta. Un fallito. Un poveretto. Un mentecatto. Un poverocristo. Un Fantozzi. Era passato appena un nanosecondo dal fallimento del golpe che doveva cambiare la storia del mondo e dalla fuga del suo leader verso la Bielorussia in stile Otto Settembre (perché quando c’è da fare la figura dei poveracci, l’Italia non prende lezioni da nessuno…) che tra le centinaia e migliaia di esperti di geopolitica russa di cui sopra, compreso l’ineffabile autore di questo pezzo, naturalmente, si è scatenata la sindrome da piazzale Loreto. La barzelletta Prigozhin. Lo sprovveduto Prigozhin. La meteora Prigozhin. Lo scappato di casa Prigozhin. Mancava solo che passasse un ubriaco appena uscito dalla fiaschetteria a prenderlo a gatti morti in faccia mentre guardava i lavori pubblici sul lungolago in compagnia degli altri prepensionati della Wagner e saremmo stati davvero al completo. Prigozhin chi?

E tutti quelli che il giorno prima ne tratteggiavano le gesta - e che evidentemente non avevano capito una mazza – ora si esibivano nel calcio dell’asino su quello lì chi pensava di essere e quello lì si era fatto ingolosire dal potere, ma come si fa solo a pensare di poter scalfire il potere immane e tentacolare di un sicario del Kgb come Putin e adesso Putin gliela fa vedere e adesso Putin lo cucina a fuoco lento e adesso Putin gli fa fare la fine del sorcio e lo avvelena e lo interna e lo prende a picozzate come con il povero Trockij e solo dei pecoroni sprovveduti potevano credere in Prigozhin e solo dei nazistoidi ottusi come gli ucraini potevano sperare in Prigozhin e via così in attesa della prossima svolta epocale.

Che certamente, prima o poi, avverrà, che noi scienziati sicuramente non capiremo e che, quando qualcuno avrà il buon cuore di spiegarcela, non mancheremo però di trasformare nella solita irresistibile pochade. Scusate, a che ora va in onda la rivoluzione?

© RIPRODUZIONE RISERVATA