Scuola, un disastro che arriva da lontano

Nel lontano 1989 all’Università degli studi di Milano a chi scrive questo pezzo è capitato di raccogliere uno sfogo inatteso dal docente con il quale stava preparando la tesi di laurea.

Il professore era Giorgio Rumi, grande storico lariano, ordinario di Storia contemporanea ed eminente studioso del Novecento, in particolar modo del mondo cattolico. In quell’occasione, mentre stava facendo a pezzi, con feroce eleganza, tutti i capitoli che non andavano in quella tesi sulla genesi del fascismo a Lecco, aveva però apprezzato che almeno fosse scritta in un ottimo italiano e questo, a suo avviso, era davvero positivo perché ormai gli studenti non sapevano più tenere la penna in mano, non capivano più i temi di analisi e tutto questo era colpa della scuola, della sua finta e demagogica riforma post sessantottina e dei ministri, presidi e insegnanti, che continuavano a diplomare ragazzotti non all’altezza destinati a riversare tutto il loro samovar di ignoranza sull’università.

Naturalmente chi scrive questo pezzo, con il bieco servilismo che lo contraddistingue, - il mega professore era uomo di grande autorevolezza e di grandissimo potere - si era entusiasmato per questa vera e propria intemerata e però, con il passare del tempo, si è sempre più sinceramente convinto che avesse davvero ragione. Ed erano mille anni fa. Non era ancora successo niente di quello che ha modellato la nostra società di oggi: c’era ancora il muro di Berlino, c’era ancora il pentapartito, c’era ancora la lira, Tangentopoli non era esplosa, la gente comprava ancora i giornali e guardava il sabato sera di Raiuno, non c’era Sky e neppure Netflix, non c’erano i social, Bezos faceva il piazzista di libri, la Juventus non aveva ancora perso cinque finali consecutive di Champions, Lukaku non aveva ancora iniziato a sbagliare gol a porta vuota eccetera eccetera. Un altro mondo.

E’ per questo che la notizia più clamorosa della settimana, non tanto perché sia sorprendente, ma per la mostruosità dei dati, è stata la pubblicazione dei risultati delle prove Invalsi, che hanno certificato che la metà - la metà! – degli studenti italiani che hanno fatto la maturità non è in possesso degli strumenti sufficienti in italiano e matematica. In particolare, non è in grado di articolare un discorso e di comprendere il significato di un testo complesso. Insomma non capisce quello che legge e non sa quello che dice, mancandogli completamente cultura, vocabolario e comprensione. La metà degli studenti. La metà. Poi, ovviamente, la situazione peggiora, come da migliore tradizione italica, scendendo da nord verso sud e c’è pure l’aggravante che i segni di sbriciolamento iniziano ad avvertirsi anche nelle elementari, che da sempre rappresentano il fiore all’occhiello del nostro sistema scolastico.

E se questo è un disastro, e che lo sia viene dimostrato dal fatto che la notizia è passata allegramente in cavalleria rispetto a questioni fondamentali e dirimenti quali l’epurazione di Barbara D’Urso, la sorte del programma di Filippo Facci, le scarpe con il tacco alto della Meloni e gli accostamenti cromatici della Schlein, la risposta che viene data da tanti esperti non è per nulla convincente. Tutta colpa della Dad, dicono eminenti psicologi e sociologi, visto che gli anni del Covid hanno inferto un vulnus talmente profondo e incurabile che ci vorranno anni per sanarlo.

Ora, per quanto nessuno possa negare lo choc prodotto su bambini e adolescenti dalla cattività sociale nella quale sono stati catapultati da un giorno all’altro, questa tesi si scontra con l’episodio del professor Rumi di cui sopra, caso isolato però al contempo pedagogico, ma soprattutto con le statistiche che da tanti, tantissimi anni - e quindi ben prima del coronavirus - confermano che ormai quasi il 30% degli italiani è analfabeta funzionale. Cioè, tre italiani su dieci - e non sono analfabeti classici, quelli di una volta, quelli dei nostri nonni, che facevano materialmente fatica a leggere e scrivere, e che hanno invece fatto studi regolari e possono esibire fior di diplomi di scuola media superiore - non sono più in grado di comprendere il significato di un testo organico e di valutare criticamente e autonomamente le informazioni che incontrano durante la vita individuale o sociale di un giorno qualsiasi. In pratica, non capiscono niente. Niente di niente.

E se qualcuno ritiene che sia impossibile, si faccia un giro su un qualsiasi social, privilegiando preferibilmente Facebook, che ormai da tempo è il media digitale degli adulti e degli anziani, tutti soggetti che nulla hanno a che vedere con i ragazzi che si sono sorbiti le lezioni in Dad. Ragazzi, quelle non sono persone normali. Quella è la Famiglia Addams. Strafalcioni, sfondoni, svarioni, congiuntivi ballerini, insulti, ululati, leggende metropolitane, analfabetismi, complottismi, benaltrismi, dietrologismi, credulonismi, me lo ha detto mio cugino, a voi ve lo dicono, è tutto un magna magna, risse da bar, risse da osteria, risse da fiaschetteria, un tasso di ignoranza - e di violenza - da far morire dal ridere, o forse dal piangere, vedete voi. Altro che il Covid.

E se questo è vero - ed è vero - allora la prima riflessione che viene in mente è che le elezioni degli ultimi vent’anni, chiunque le abbia vinte, sono truccate. Perché se il 30% degli elettori non capisce una mazza è evidente che al primo demagogo, al primo caporione, al primo masaniello di destra, di centro o di sinistra basta scamiciarsi dal predellino muggendo slogan fondamentali quali “Viva la mamma!”, “Abbasso i cattivi!” e “Più felicità per tutti!” per vincere nelle urne a mani basse.

Il disastro della scuola - e della società - italiana arriva da lontano. E’ frutto dei tempi, certo, ma anche del disinteresse assoluto della politica. Una scuola che insegna e seleziona e una società basata su fondamenta meno marce delle nostre produrrebbe cittadini e non pecoroni. E indovinate un po’ chi preferiscono i nostri statisti?

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