Un campione, un obiettivo e i mezzi per centrarlo

Carezze al cuore e pettinate all’anima. È la normalità del campione. Che pennella di biancazzurro una redazione che si specchia negli stessi colori. Ogni giorno. La visita di Cesc Fabregas a La Provincia si trasforma in qualcosa di più del fantastico mondo del mister e del suo Como. Molto di più. Un viaggio dentro il calcio – e il catalano ne sa, eccome –, dentro il marketing e la missione. Un progetto. Il progetto. Che va oltre - sembra impossibile - i meri risultati del campo.

Solo acqua naturale per il Condottiero. Perché il gas ce l’ha nel cognome e lo porta sempre con sé. Stessa grinta della panchina, anche dietro a un tavolo della sala riunioni.

Parla a ruota libera. E sa bene quel che dice, anche se la lingua non è la sua. Pondera. Spiega. Ma soprattutto chiede, perché il campione, nella sua umiltà, ha anche la grande dote di chiedere. Per conoscere e imparare.

Dentro nel Como e nel sistema Como. E di tutto quello che il Como – inteso in senso calcistico – significa per Como. Adesso che sono esplosi insieme, dando la sensazione di essere soltanto all’inizio. Manager più ancora che mister. Per una concezione molto anglosassone. E di pura ispirazione alla Premier League. Da dove arriva. E dove tornerà. Statene certi.

Nel frattempo, mani e piedi ben puntati su questa terra. Che ha imparato a conoscere nel tempo. E alla quale vuole un bene dell’anima. Lo si capisce. “Non che mi capiti – ha detto – di vivere granché la città nei miei continui trasferimenti casa-ufficio e ufficio-casa, ma di certo avverto l’entusiasmo di cui è impregnata l’aria”. Primo riscontro, manco a dirlo, gli spalti del Sinigaglia. Ma la visione di Fabregas va oltre. E respira a pieni polmoni l’idea dei fratelli Hartono, i magnati indonesiani proprietari del club.

Sa bene, il fuoriclasse spagnolo, che un progetto del genere nessuno potrà mai proporglielo. Arriverà l’Inghilterra, passerà il Barcellona, ma lì si troverà a lavorare in ambienti già pronti e in contorni ben delineati. Qui, sulle rive del lago, c’è da sviluppare qualcosa di unico e di grande. Lato calcio e sponda territorio. Perché la palla gira così tanto, e bene, spinta - manco a dirlo - dall’idea vincente della proprietà. Il merchandising, le charity, lo stadio del futuro, il legame con le onlus e le amministrazioni del territorio e avanti di questo passo. Chiaro il concetto: bene la serie A, ancora meglio l’Europa che verrà – se verrà – ma non ci si limiti a quello.

Fabregas è troppo intelligente per non averlo capito. E per farsi ingabbiare nel quadrilatero d’oro del centro sportivo di Mozzate, ormai sempre più a sua immagine e somiglianza. Azionista quasi per caso (“lo prendo come un graditissimo dono del club al mio arrivo”, ha detto) e plenipotenziario per scelta. Lui, Mirwan Suwarso e Charlie Ludi. La base della società si sarà anche allargata, ma le triangolazioni partono tutte da qui, finendo anche sul tavolo dell’ad Francesco Terrazzani. In quelle triangolazioni c’è dentro di tutto: il destino della prima squadra, per ora core business dell’operazione, la crescita del vivaio e l’espansione della società. Un passo alla volta, step by step. “Arriviamo in serie A? Mi chiedeva sempre Suwarso nella primavera dell’anno della B”, svela il mister. Ed era pressione senza mettere pressione, perché magari aveva appena accontentato il perfezionista Fabregas in una delle sue richieste.

È questo uno dei segreti della vincente gestione del Como. Aver ben chiaro l’obiettivo e contemporaneamente strada e mezzi per arrivarci. Quello che a Fabregas nessuno, in questo momento e men che meno nel sistema calcio Italia, nessuno potrà mai garantire. Arriveranno l’Arsenal, il Chelsea e il Barcellona, ma la normalità del campione, statene certi, per ora prevede solo un volo sulle ali del Como. Novello Dumbo. In fondo – anche qui – la diversità diventa straordinaria.

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