Il rapitore di Cristina: «Mi pagarono 30 milioni»

Sequestro Mazzotti Intervista a Demetrio Latella, la sua impronta era sull’auto dove viaggiava la ragazza. «Io e Talia siamo stati incastrati. Calabrò? C’era anche lui. Ho ucciso, ma l’unico rammarico che ho è il rapimento»

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Eupilio

Capelli color cenere, la montatura degli occhiali nera e spessa che cela uno sguardo che ha lo stesso calore di un ghiacciaio, Demetrio Latella esce dal Tribunale di Como visibilmente arrabbiato. Ha appena finito di rendere dichiarazioni spontanee nel processo per il sequestro e il rapimento di Cristina Mazzotti. Lui faceva parte del commando di rapitori, e lo ha confessato dopo essere stato incastrato da un’impronta digitale. Per la prima volta, accetta di parlare. Lo fa subito dopo aver detto, in aula: «Sono stato incastrato, non sapevo cosa dovevo andare a fare».

Incastrato o no, signor Latella, poi però lei ha aiutato a rapire Cristina: «Fare il cronista di guerra da un salotto televisivo è diverso» che farlo davvero, sembra il sottinteso. E chiarisce: «Trovarsi in certe situazioni quando hai a 20 anni, senza capirci niente, cosa fai? La verità è che quel miserabile a me e a Talia (Antonio, imputato ndr) ci ha ingannati dicendo “andate a dare una mano che hanno un lavoretto” e ci siamo trovati in quello che è successo». Il «miserabile» nella rilettura di Latella è Vincenzo Ferraro, il “reclutatore” - stando a quanto dice il rapitore - del bar di via Rovereto a Milano, luogo frequentato in quegli anni dai peggiori criminali operanti nel capoluogo.

Ma non poteva dire di no? «Ma no! Io me ne sono andato dalla Calabria per non aver a che fare con questa c.... di ’ndrangheta, che parte della mia famiglia ne faceva parte. E guarda come mi sono trovato con decine di omicidi sulle spalle», anche se in realtà è stato condannato a uno solo . Latella sostiene che il sequestro Mazzotti ha finito poi per trascinarlo per i capelli verso il crimine: «Perché avendo un carattere di m..., che lo riconosco. C’ho un nervoso, porco...». Torniamo all’omicidio e all’impronta digitale che l’ha incastrato: «Ma l’impronta è una presa per il c... Se aspettavamo l’impronta non arrivavano da nessuna parte. Hai voglia che mi parlano delle nuove tecnologie, le nuove tecnologie sono i delatori». Come dire: qualche confidente ha fatto il mio nome. Ma pure lui, Latella, ha fatto dei nomi: quello di Antonio Talia (confermato anche in aula ieri) e di Giuseppe Calabrò, pure lui imputato: «Sì, sì. Ma me l’hanno detto loro: eravate te, Calabrò e coso. Li confermi? E sì che li confermo». Ma se lui, Latella, e Talia sono stati incastrati (a suo dire), lo stesso vale anche per Calabrò? «Da Ferraro no di sicuro. Ma c’era una combinazione di miserabili... Io comunque sono venuto per dire che non no mai organizzato questo sequestro, io sono stato incastrato. Sono cose brutte, ho mia moglie che sta morendo con questa storia qua, per roba di cinquant’anni fa». Sarà anche roba di cinquant’anni fa, ma il dolore della famiglia Mazzotti resta indelebile: «Sì, per carità». E si lancia in un aneddoto: « Sono a Novara, in carcere. Un giorno mi comunicano due omicidi. Mi chiama il cavaliere Antonio Berardi, il comandante, e mi dice: “ho saputo che le sono arrivati altri due omicidi. Ma non la vedo preoccupata. Ma qualche rimorso ce l’ha?”. Ecco: io ho solo un rimorso: ed è questo (il sequestro Mazzotti ndr). Ho solo un rimorso. Per tutti gli altri fatti non ho rimorsi, perché è tutta gente che mi voleva eliminare gratuitamente perché gli dicevo in faccia che m... erano».

Davanti alla Corte d’Assise nelle sue dichiarazioni, Latella ha finito per addossarsi più di un omicidio (a dispetto di una “sola” condanna), e lo stesso fa all’esterno del Tribunale: «Io non volevo che succedeva una cosa del genere, non sapevo niente, mi sono trovato in una storia indegna. Per altro non ho rimorsi: ho fatto venti omicidi? Non me ne fotto, li rifarei e ne avrei fatti altri, ma mi hanno arrestato presto». Sul coinvolgimento della ’ndrangheta, sbotta: «Io affiliato? Ma non se ne parla proprio. Sono un criminale ma ho anche una morale. Non è stata colpa mia, ma di questi miserabili... di questa feccia della ’ndrangheta. Erano appecorinati dietro a quattro sciacquini che chiamavano boss. Io, nonostante non ero affiliato, ho fatto cose che sti affiliati non riuscivano a fare. La mia fortuna? Non ho mai avuto paura di morire». E attacca con un altro aneddoto: «Non ho mai avuto paura della morte, perché ha sempre camminato con me. A 4 anni mi operano su un tavolo da cucina perché stavo morendo: chiamano il prete e mi dà l’estrema unzione. La mattina mi sono svegliato bene. A 14 anni faccio un incidente, mi fratturo il dente dell’epistrofeo, il bacino. Un luminare mi ha detto: questo è un miracolato. Dopo qualche anno mi volevano arruolare nell’esercito, ma mi hanno riformato. E il medico mi dice: “a lei come fa a essere vivo?». Va bene, ma torniamo a Cristina. Dunque: incastrato, dice. Ma i soldi li ha presi? «Ho preso i soldi, sì. Mi pare 30 milioni» di lire. «Ma solo dopo una settimana ho saputo che la ragazza (non dice mai “era morta” ndr). Se no mica li prendevo, ma che ero scemo?». Sipario.

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