Mario e Gin, quando l’amicizia è un’arte

La storia Il ricordo del pittore di Como Marangio, morto il mese scorso, nelle parole del fotoreporter Angri

Como

La morte è davvero un fatto definitivo? A conti fatti, solo in parte: se si è abbastanza fortunati, si può continuare a vivere nelle parole, pensieri e racconti dei propri affetti. Mario Marangio – meglio conosciuto come “Mario il pittore” - è mancato lo scorso 6 agosto. Ma continua ad esistere nel respiro di chi lo ha conosciuto, come il fotoreporter comasco Gin Angri. «Se potessi dirgli qualcosa ora, sarebbe un abbraccio di cuore» riferisce, mentre torna indietro al giorno da cui è fiorita la loro amicizia.

«Tutto è cominciato dalla rivista “Oltre il giardino”, un progetto nato all’interno del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze di Como». Il primo incontro con Mario «fu una decina d’anni fa: all’epoca viveva nelle comunità e aveva iniziato a partecipare ai nostri incontri di redazione. Durante questi appuntamenti settimanali, lui si appartava per disegnare». Tuttavia, per quanto Mario si facesse silenzioso, Gin e gli altri non poterono non notare «la sua capacità innata e il suo tratto spontaneo, ricco di sensazioni e di storie». E così, da frequentatore marginale della redazione, Mario diventa a tutti gli effetti un “collega”: «Fin dall’inizio lo avevo incoraggiato a disegnare delle storie a fumetti da pubblicare sulla rivista». In queste tavole, Mario «raccontava proprio della sua vita, delle sue esperienze, e delle sue cadute». Oggi, riguardando quelle pagine, qualcuno che non conosceva Mario potrebbe dire che fosse fumettista di professione. In effetti Gin Angri svela che «nella sua prima vita, Mario faceva il grafico, per cui aveva sempre avuto a che fare con pagine bianche da riempire».

Dopo un po’ di tempo tra i colleghi di “Oltre il giardino”, Mario «ha seguito il suo spirito libero, è uscito dalla comunità ed è andato a vivere da solo. Si è trasformato in un artista di strada e, una volta abbandonato il fumetto, ha iniziato con le tele». Quelle stesse tele che, portate sottobraccio per le vie della città, avevano reso Mario un volto conosciuto tra i comaschi.

Erano «tele anche superiori ai due metri, piene di nero, di tratti quasi violenti – aggiunge Gin -. Secondo me era un modo con cui raccontava il suo disagio». Ma non è sempre stato così: «Prima Mario utilizzava i colori, poi addirittura soltanto la matita seppia. Alla fine, probabilmente anche perché era anche più comodo, è passato al pennarello nero».

Per quanto riguarda il “cosa” di quelle tele, Mario «ha disegnato parecchie visioni di Como, foreste e animali, ma era molto legato anche agli aspetti biblici e religiosi, tanto da fare una serie di “Cristi”. In tanti negozi e bar del centro c’è appesa una delle sue opere. Siccome lavorava anche su richiesta, qualcuno gli chiedeva Piazza Duomo o Piazza Cavour».

«Negli ultimi anni – continua l’amico fotografo - Mario veniva qui a casa mia, utilizzava il cortile come suo atelier per dipingere e per proteggersi dalla pioggia o dal caldo. Non era una presenza quotidiana, ma quasi, ed è per questo che si è rafforzato quel rapporto di amicizia e di stima, anche con gli altri abitanti della casa, al di là dei suoi alti e bassi, specialmente nella malattia dell’ultimo periodo».

Gin Angri, che nella vita ha accarezzato centinaia di sguardi con il suo obbiettivo, scelse di fotografare anche Mario, in una foto destinata ad essere ricordata per sempre. In bianco e nero, c’è un Mario profondamente umano, con le rughe e gli occhi indaffarati. Sotto la manica del giaccone tiene uno dei suoi disegni, poi soprannominato “Il Cristo del Mario”. Questa foto è stata poi esposta, all’interno di una cornice dorata, durante Miniartextil 33 - “L’Arte come Preghiera”. Ma c’è una curiosità: «Di questa foto esiste anche un autoritratto, perché Mario l’aveva ridisegnata su una tela».

Chi aveva conosciuto Mario da vicino sapeva che «di primo impatto, poteva avere un carattere difficile, ma poi riusciva a farsi riconoscere, proprio per la sua intelligenza e arte, che non è mai stata né dozzinale né banale». E infatti Mario, quando è morto da anti-star, nel giro di poche ore è diventato un argomento di tendenza. Sui social media e nel passaparola è partita una corsa inedita alla ricerca delle sue opere, accompagnata da una serie di appelli per riunire le opere e organizzare una mostra postuma. «Finalmente è stato riconosciuto» riferisce Gin Angri, che ripensando a quel giorno aggiunge: «Ho sempre amato la sua arte strettamente legata alla sua vita e le sue ultime tele, così piene e scure descrivevano il suo tormento. Era un artista gentile come tutti lo ricordano».

Ma oltre che gentile, Mario «era un grande conoscitore dell’arte: quando parlavamo di qualche suo disegno, faceva riferimento ai grandi artisti. Aveva le idee ben chiare sul suo lavoro, sulla sua arte».

Del resto, nel numero 12 di “Oltre il giardino”, appena sopra il suo fumetto, Mario Marangio era stato chiaro verso i suoi lettori: «Trovo molto piacere nel disegnare e questa è la mia storia».

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