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Giovedì 23 Ottobre 2025
«La mia vita con il Como. Oggi? bello, ma diverso»
Massimo Fusi, presidente del Centro Coordinamento dal 1984 al 2002: «Io in trasferta anche da solo; lo striscione a Varese; nascondemmo Rivera»
Massimo Fusi, 55 anni di stadio. Di tifo. Prima in curva, poi presidente del Centro Coordinamento per 20 anni, adesso trascinatore del Como Club Albavilla, abbonato nei distinti. Altro che intervista. Prima o poi con lui bisognerà scrivere un libro.
La prima volta.
Più o meno il 1970. Mia mamma era stata male, mio zio mi portava a vedere il Como di Paleari. Spesso con papà, tifoso anche lui. Avevo 10 anni. In curva, la curva dei matti. Poi nel quadratone della Monumento, quando nacquero i Panthers. Ma io ero uno tranquillo eh... Per indole proprio.
Flash di quel Sinigaglia.
Cose impensabili. C’era la pista di ciclismo, e nella parte bassa sotto i distinti veniva eretta una gabbia temporanea per far entrare i tifosi anche in quella zona. Poi ricordo Como-Juve del 75-76, in Curva Monumento c’erano i Panthers ma anche i Viking della Juve, vicino alla tribuna. Lo stadio era una jungla nel senso che ognuno andava un po’ dove gli pareva, altro che curve assegnate.
Prima trasferta.
Non me ne parlare. Mio papà mi affidò a un signore per andare a Verona. L’anno prima nella partita spareggio per la A c’erano stati tafferugli. Il pullman del tifosi del Verona, tornando verso casa, si imbattè in una festa per la promozione ad Alzate Brianza. Scesero tutti, il finimondo. Va beh, ci fu un’aggressione al Bentegodi, spaccarono una gamba a bastonate a un tifosi del Como. Soprattutto mi ricordo il tragitto a piedi dallo stadio ai pullman, malmenarono anche il signore che era con me, e mi proteggeva. Un trauma.
Eppure non abbastanza per farti desistere.
No, l’emozione, la gioia dello stadio, l’amore per i colori azzurri hanno sicuramente avuto la meglio.
E allora ancora trasferte.
Ma sai che ne ho fatte anche da solo? Non è come adesso che vedo trasferte oceaniche anche in posti impensabili. Allora c’erano trasferte dove di Como non andava nessuno, non c’era la facilità a viaggiare e l’offerta di mezzi di oggi. Viaggiavo con i giornalisti, con Riccardo Bianchi o Angelo Soldani. A Benevento finimmo in mezzo alla processione di Pasqua, a Catanzaro mi imbattei nel corteo dei tifosi locali, e mi nascosi in una cabina telefonica, a Matera ero proprio da solo.
Poi piano piano ti sei avvicinato al Centro Coordinamento.
Volevo dare una mano. Mi piaceva, era una realtà importante, coordinava i tanti club e c’era un bel dialogo anche con i gruppi della curva, si aiutava nelle coreografie. Mi ricordo un giorno...
Quale?
Como-Milan 1981-82, il Como vince 2-0 e spedisce praticamene il Milan in B. I tifosi rossoneri si scatenano, il Centro praticamente nascose nei suo locali Gianni Rivera, dirigente allora, per evitargli la contestazione. Uscì dopo due ore. Io ero già nel Centro, nella foto di Collovati che esce in barella colpito da un sasso milanista durante la partita, ci sono io accanto a lui mentre lo portano fuori.
Segretario e dopo presidente del Centro.
Sì, un anno, poi subito presidente. Un lavoro, eh. Passione e impegno. Lo stadio la mattina, la radio in mano, la gestione con le tifoserie avversarie, incontravamo i club, gli davamo assistenza se cercavano posti per mangiare o dormire. Che fatica, mica era come adesso che Como è una città turistica. Trovare un ristorante aperto era una lotteria. E poi gestire le problematiche di accesso, gli striscioni.
Il salto dalla curva, da tifoso, alla radio e al bracciale sull’avambraccio, partorì qualche problema.
Dinamiche normali, diventavi a metà tra il tifoso e la figura istituzionale, naturale che qualcuno dalla curva ti vedesse come braccio dell’autorità. Mi ricordo una scritta contro di me sul muro dello stadio. Ma in generale ho sempre avuto un bel rapporto con i ragazzi della curva, nessun problema.
Anche perché aiutavate nella coreografie.
La figura fondamentale era Angelo Frigerio detto Pucci. Presidente dell’omonimo club, ma anima riconosciuta da tutti del tifo azzurro, anche dagli ultrà, per i quali era quasi un papà. Arrivava la partita e lui saltava su con qualche idea. Mi ricordo notti intere insonni a tagliare migliaia di A per Como-Lazio 1985 o per fare le onde di polistirolo. Passavano anche i genitori dei giocatori poi a prendere una reliquia da portare a casa.
Gli anni dei pranzi al Centro.
Un’epoca meravigliosa. I nostri locali all’inizio erano sotto la tribuna, poi con la costruzione della nuova tribuna ci siamo spostati nei locali degli ex spogliatoi. Lì ci trovavamo dalla tarda mattinata e si preparava un pranzo pantagruelico cucinato lì, spesso da Italo Biondi, che ancora oggi è in campo, poi Bolpato, Ratti, il Pinun e tutti gli altri. Passavano i dirigenti, i giocatori del settore giovanile, una specie di festa pre partita prima di cominciare il lavoro. Bellissimo.
Aneddoti.
Una volta andammo a Varese e nella curva loro spuntò uno striscione di un club di Tavernerio che era sparito dallo stadio, forse trafugato. Io ero in campo con bracciale e radio. Arriva un funzionario della polizia e mi dice: se la sente di andarlo a riprendere? Dissi sì, ma non ero tanto convinto. Andammo sin dentro la curva del Varese, il funzionario fu molto spiccio, mi riconsegnarono lo striscione, ma il tragitto di ritorno verso la nostra curva fu il più lungo della mia vita: insulti e sberleffi.
Paura?
A Livorno. La famosa trasferta del 1997. Perché io ero in tribuna e raggiunsi tranquillamente il piazzale dove c’erano i nostri pullman mentre si scatenava il finimondo. Venne incendiato un nostro pullman, ambulanze polizia, la Rai che mi intervistava, non si capiva più nulla. Avevamo nostri tesserati dentro lo stadio, eravamo preoccupati. Tornammo a notte fonda con i giornalisti che ci aspettavano come fossimo reduci.
Erano gli anni dei gemellaggi.
Adesso, almeno a Como, è una pratica dimenticata. Altrove esistono ancora. Erano domeniche di condivisione. Mi ricordo una volta che dovevano arrivare i tifosi dell’Empoli con cui c’era un bel rapporto. Allora organizzammo una mega spaghettata, nella via fuori dallo stadio: scendevano i tifosi dal pullman e si trovavano un piatto di spaghetti in mano. Tutti insieme allegramente a mangiare. Gemellaggi con il Milan, il Bologna, il Vicenza, tifosi in mezzo al campo a sbandierare insieme, aveva anche un rituale simbolico.
Hai avuto sempre un grande rapporto con i primattori.
Sai, con quel ruolo si finiva per fare cose insieme. Le cene di Natale, le feste di Carnevale, le serate nei club. C’era sempre qualcuno della società, un giocatore ospite, un dirigente, si passava del tempo insieme. Ora non è più così.
Personaggi?
Mario Beretta è la persona più innamorata del Como che ho conosciuto. Ce ne sono state tante altre, ma lui era inarrivabile. Si commuoveva spesso. Borgonovo era speciale, e la sua drammatica vicenda ne ha fatto una icona a prescindere, ma lui era davvero speciale. Ricordo i suoi occhi sorpresi a una festa di un club quando mi chiese “Ma sono qui per noi?”. Già molto malato, era lui che si preoccupava della mia salute. “Come stai?”, mi chiedeva e io ero imbarazzato che me lo chiedesse. Quel guappo di Preziosi che prima di entrare in rotta di collisione ha saputo esaltare la gente come pochi altri. L’intelligenza di Cecconi, al quale regalammo un bandierone con la sua faccia. Il matrimonio di Moz, quando tutti presero dei costumi da guerrieri e ci ritrovammo di colpo in un carnevale. Aldo Agroppi che a una cena di Natale sparì, e lo ritrovammo che stava tagliando le fette della torta per tutti, in un angolino. Potrei stare qui per ore.
Le feste.
Del Pucci. Tavolate in centro storico, la prima la facemmo ai giardinetti di via Anzani.
Il momento più commovente?
Quando sono tornato allo stadio dopo un incidente che mi aveva fatto fare un pit stop (Massimo si commuove, prende fiato, ndr). Quel giorno che sono tonato allo stadio a Como-Napoli 2002 non me lo scorderò mai.
Oggi?
Oggi cosa ti devo dire? E’ stupendo, è bellissimo. Ci stiamo riappropriando di cose che ci erano sfuggite via, pensavamo per sempre. I successi con le grandi, l’accendino di Redini alla Coppa Italia, tutte cose che abbiamo raccontato come se fossero svanite per sempre. E invece...
Lo stadio di oggi.
Io quando vedo un fiume id gente che va verso lo stadio con le maglie e le sciarpe, mi commuovo. E anche quando c’è la sciarpata a inizio partita, quello che abbiamo sempre sognato. Però...
Però?
Mi spiace che non c’è più il senso di famiglia che c’era ai nostri tempi. Quella condivisione tra tifo e squadra tra tifo e giocatori ri che c’era ai nostri tempi, la telefonata che risolveva un problema. Adesso è tutto molto inaccessibile, tutto formale. Forse non potrebbe essere altrimenti. Tutto molto complicato, pensa solo ai biglietti. Io non voglio dire che è sbagliato, nè che è brutto. I tempi sono cambiati. Ma lasciatemi dire che è diverso, questo sì. Purtroppo è diverso, allora sentivi il Como come una cosa tua, sentivi di essere un ingranaggio della famiglia Como, adesso non è più così. Comunque grazie per le emozioni, eh... Mia moglie dice che gli sembra di essere tornata a quei tempi là, con la mia testa sempre al Sinigaglia.
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