Coltelli a scuola, i timori dei presidi: «Non possiamo restare indifferenti»

Le opinioni I dirigenti degli istituti scolastici dopo quanto accaduto a Varese e Rozzano. «Allarme sociale». E c’è chi rivela: «Anni fa ho rischiato, con un alunno e un genitore»

Attacchi di panico crescenti, ansia, stress, atteggiamenti aggressivi che possono sfociare nella violenza contro se stessi o gli altri. Il disagio giovanile preoccupa sempre di più anche la nostra provincia e i recentissimi fatti di cronaca accaduti a Varese e Milano non possono lasciare indifferenti coloro che hanno a che fare tutti i giorni con i ragazzi.

A Varese una docente è stata accoltellata da uno studente di 17 anni e nel Milanese, ieri, un altro minorenne è stato aggredito da un coetaneo. E poi, qualche giorno fa, un preside picchiato da un genitore in un istituto di Taranto. Gravi episodi che, fortunatamente, non hanno riguardato la nostra provincia negli ultimi anni, ma i presidi confermano che sempre più ragazzi si trovano a vivere situazioni di disagio.

Più di un precedente

A scuola, per quanto possibile, si cerca di gestire i casi più problematici, ma alle volte si tratta di questioni che vanno oltre le competenze di docenti e dirigenti scolastici. «Rimaniamo tutti abbastanza stupiti, proprio perché siamo in una zona dove queste cose non accadono – commenta Nicola D’Antonio, preside del Giovio -. Viene il timore che possano succedere anche qui. Sentendo queste notizie, guardo i ragazzi nei corridoi e penso che nessuno di loro possa arrivare a quel livello, avere un coltello in tasca mi lascia di stucco. Bisognerebbe analizzare caso per caso e capire perché è accaduto. La docente accoltellata mi lascia senza parole: ci può essere qualche diatriba, ma pensare a una violenza come questa no. Ci vorrebbero task force che intervengano a livello psicologico. I tempi sono un po’ preoccupanti. Se vai a scuola con un coltello, prima o poi lo userai, questa è un’emergenza sociale autentica».

Gaetana Filosa, preside della Ripamonti, racconta di episodi passati accaduti proprio a lei. «È successo anche a me di essere a rischio, una volta con un genitore e un’altra con uno studente – ammette – nel primo caso si trattava di un padre aggressivo per problematiche personali che manifestava la sua rabbia verso l’istituzione scolastica. Nell’altro caso, invece, ho fermato l’ira dello studente al momento giusto e non è successo nulla. La gravità di certi episodi è indubbia e, talvolta, ci si trova davanti a giovani con difficoltà importanti, ma è frutto di questa società. I ragazzi problematici ci sono sempre stati, probabilmente si sono aggravati. Non bisogna comunque generalizzare: da noi ci sono una trentina di ragazzi con problemi, su oltre mille alunni. Purtroppo talvolta siamo impotenti davanti a certe situazioni: oggi alcuni ragazzi tendono a provocare, a volte non abbiamo le competenze di psicologia e capacità di relazionarci e attivarci nel modo corretto».

Lavorare sul bullismo

Alla Magistri, così come in moltissimi altri istituti, si lavora in classe sul bullismo, senza comunque registrare situazioni gravi: l’obiettivo è educare contro ogni forma di violenza. «I ragazzi segnalano un malessere generale che non ha una sola origine ma diverse, di fronte a questo non si può rispondere con la repressione, sarebbe una scorciatoia – è l’opinione di Silvana Campisano, preside del Caio Plinio -. Bisogna capire che i giovani hanno un malessere anche per il contesto così aggressivo e violento, poco capace di dare risposte positive. Questo riguarda tutto il mondo adulto, sia a scuola che a casa. Sono pieni di fragilità, servono risposte collettive perché da soli non si va da nessuna parte».

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