Covid, il primario: «Ospedale al limite
E quanta rabbia per la gente in giro»

Luigi Pusterla, direttore del reparto di malattie infettive a San Fermo: «Tanti non hanno ancora capito quello che sta succedendo»

Reparti pieni, personale sfinito: «E quando alla sera torno a casa e vedo tante persone in giro provo una grande rabbia. Perchè nessuno è fuori pericolo, e la gente non ha ancora capito cosa sta succedendo».

Luigi Pusterla, primario di malattie infettive all’ospedale Sant’Anna, il Covid lo combatte da nove mesi. E crede che tanti ancora stiano sottovalutando la portata dell’epidemia.

Qual è la situazione all’interno del Sant’Anna e nel suo reparto?

Al Sant’Anna siamo alla quasi completa saturazione dei posti letto disponibili avendo liberato tutto quel che si poteva per dare assistenza ai pazienti. La grossa differenza secondo me rispetto ad aprile è che l’età media dei pazienti ora è più bassa. Sono pazienti che necessitano di cure più durature con una conseguente maggiore attesa rispetto alla possibilità di liberare i posti letto.

Sono più giovani, quindi stanno meglio?

La patologia è sempre grave. Non è vero che stanno tutti bene. La percentuale dei pazienti assistiti con la ventilazione è purtroppo molto alta, nettamente più alta rispetto alla prima ondata.

Molti pazienti comaschi vengono trasportati fuori provincia, i nostri ospedali non bastano?

Siamo in una situazione analoga a quella vissuta nei mesi scorsi dagli ospedali di Bergamo, di Brescia e di Lodi. Adesso siamo noi a dover chiedere aiuto ad altri territori per curare tutti i nostri malati. Non dimentichiamo comunque che nei nostri reparti abbiamo diversi pazienti che risiedono in altre città, in particolare Varese, Milano e a Monza. Le aree che come la nostra sono le più colpite da questa seconda ondata.

E se l’emergenza dovesse durare tutto l’inverno?

Non lo so. Non lo so anzitutto perché molti di noi sono stanchi. Chi lavora nei reparti di malattie infettive e pneumologia, dal mese di agosto non ha mai staccato la testa. Non siamo sfiniti perché ci crediamo ancora e sempre, ma le nostre forze non sono interminabili. E quando torno a casa e vedo ancora un mare di gente in giro, per strada, non certo per urgenti necessità, magari con la mascherina abbassata, senza alcun distanziamento sociale, provo rabbia, una grande rabbia. Le frange che negano o minimizzano la pandemia non le tollero più. Ma anche questa morbida chiusura rischia di non bastare. La gente non ha capito cosa sta succedendo.

Servono delle strutture per ricoverare pazienti lievi e meno acuti?

Sì perché consentirebbero di alleggerire la pressione sugli ospedali. Comunque i pazienti definibili come lievi sono una minoranza di quelli che finiscono in ospedale

Gli under 40 guariscono prima?

Vengono intubate anche persone giovani. Non è vero che se la cavano sempre bene. La gravità della malattia, a volte, è indipendente dalle patologie pregresse.

Ma le malattie croniche non sono un fattore di rischio?

Sì, certo sono un fattore di rischio per una prognosi peggiore. L’ipertensione, le patologie cardiovascolari, quelle metaboliche, l’immunodepressione creano pericoli maggiori. Succedeva a febbraio e succede ancora adesso. Anche l’età incide, più è alta più il rischio aumenta. Tutti però sono potenzialmente a rischio. Direi quindi che è cambiato poco o niente.

Quindi non ci sono categorie al sicuro?

Ecco, abbiamo anche dimesso persone di 90 anni ed eravamo tutti felicissimi. Nessuno però è esente dal pericolo. Bisogna fare attenzione. Indossare la mascherina, mantenere il distanziamento e lavarsi le mani in maniera quasi ossessiva, al momento sono queste le uniche armi che abbiamo per fermare la pandemia

Farmaci e terapie oggi sono migliori rispetto ad aprile?

Strumenti migliori non ce ne sono, ma abbiamo imparato ad utilizzare meglio quello che c’era. Ossia ossigeno, ossigeno e ossigeno. Antinfiammatori, steroidi, profilassi antitrombotica quindi l’eparina, fluidificanti e terapia antibiotica quando indicata. C’è un farmaco approvato, il Remdevisir, che però dev’essere somministrato secondo le regole Aifa in pazienti che stanno relativamente bene. Questo farmaco ha dimostrato la capacità di accorciare la degenza, ma non vi sono al momento dati che comprovino la sua efficacia nel ridurre la mortalità.

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