Emergenza ’ndrangheta : «Ha colonizzato il Lario»

L’incontro I magistrati antimafia e Nando Dalla Chiesa a Palazzo Cernezzi: «Qui le mafie soddisfano la domanda di evasione fiscale delle imprese»

Como

«In provincia di Como la presenza della ’ndrangheta è colonizzante». A chi pensava a una serata di buone notizie sono bastate le prime parole del procuratore aggiunto della Procura antimafia di Milano, Alessandra Dolci, a chiarire che no, c’è proprio poco di cui stare allegri. Perché a fronte di questa colonizzazione «stupisce la nostra inconsistenza nel momento della difesa. Non conosciamo l’avversario. E a volte neghiamo perfino che ci sia», avverte il professor Nando Dalla Chiesa.

In realtà la buona notizia c’è. Ed è che il cortile di Palazzo Cernezzi, giovedì sera, era affollatissimo per l’incontro pubblico (moderato dal giornalista Guido Lombardi, responsabile di Unica Tv e collaboratore de La Provincia) dal titolo “Come è cambiata la ’ndrangheta. Immagini di una (quasi) invisibile lotta civile”. Dopo i saluti iniziali del padrone di casa, il sindaco Alessandro Rapinese, è stato il prefetto, Corrado Conforto Galli, a parlare subito «tema scomodo» da trattare « perché la consapevolezza che la criminalità organizzata ha radici solide non è piena» nei nostri territori. «Ed è quindi necessario un cambio di paradigma: la società civile deve muoversi organica e non limitarsi a delegare la lotta alle mafie solo alla magistratura». Magistratura e forze di polizia che costituiscono un «sistema antimafia che funziona» ha sottolineato il questore Marco Calì. «Ciò che dobbiamo migliorare - ha aggiunto - è l’aspetto culturale: far conoscere le scorciatoie criminali che vanno a minare le fondamenta della società».

L’economia mafiosa

Fondamenta molto concrete, come ha ricordato il colonnello Francesco Falcone, comandante provinciale dei Carabinieri: «Arrivo da Messina dove ho toccato con mano quanto ancora sia rilevante la pressione della criminalità. Ma quella presenza non riguarda solo il Sud, riguarda anche questo territorio». Pressione rilevante che, ha affermato il colonnello Agostino Brigante alla guida del comando provinciale della Guardia di finanza, si deve affrontare con «un approccio trasversale e una forte sinergia tra istituzioni».

Si è parlato molto di mafie al servizio dell’economia, e non a caso a Palazzo Cernezzi c’era anche Francesco Florio, direttore provinciale dell’Agenzia delle entrate: «Da quando sono direttore ho avuto modo di verificare quanto ramificata e nascosta sia la presenza della ’ndrangheta in provincia».

Ramificata anche perché storica. Ed è stata proprio Alessandra Dolci a ripercorrere la storia della presenza mafiosa sul territorio di Como. Un territorio «che mi ha dato e mi dà molto da lavorare» ha sottolineato il magistrato antimafia. La presenza dei clan «risale fin agli anni Cinquanta» e in tutto questo tempo di dinamiche ne sono cambiate. Cosa? «Che la presenza mafiosa, oggi, va cercata nell’insolvenza, nell’evasione fiscale, nella manovalanza a basso costo, nei fallimenti» e non più (soltanto) negli attentati, negli omicidi, nel racket, nel traffico di droga.

È cambiato anche che «la riserva di violenza è ai minimi storici. Nel 2012-2015 avevamo contato oltre 400 reati spia nel Comasco, oggi sono pochissimi. Ma quindi la mafia è diventata buona e accettabile? Eccola la mistificazione. La mafia è alla ricerca sempre e comunque della legittimazione sociale. Ma sono loro stesso a dire: “Noi non possiamo cambiare”. E ci sarà sempre quella riserva di violenza che servirà loro a regolare i rapporti con i propri metodi». E guai, chiosa la responsabile della Dda di Milano a sventolare «l’alibi di chi dice “come facciamo noi a sapere se una persona è mafiosa”. Non esiste. Perché la verità è che c’è una profonda consapevolezza da parte di chi accetta» l’abbraccio mortale della ’ndrangheta.

L’invisibile lotta civile

Un abbraccio mortale che finisce per «modificare le relazioni civili» avverte il professor Nando Dalla Chiesa, docente di sociologia della criminalità, perché «dove la ’ndrangheta comanda vengono modificate» pure «le norme giuridiche di fatto. La colonizzazione della ’ndrangheta cambia lo scenario senza neppure che te ne renda conto».

«Esiste una lotta civile invisibile - afferma ancora Dalla Chiesa - Quella contro le mafie non è una partita tra guardia e ladri, ma riguarda tutti. E mi stupisce la nostra inconsistenza nel momento della difesa. Non conosciamo l’avversario. E a volte neghiamo perfino che ci sia l’avversario. Ma loro ci studiano» e ci conoscono e per penetrare nel nostro tessuto sociale, economico e amministrativo da un paio di anni utilizzano «le consulenze a pioggia, usate come strategia di penetrazione». E di fronte al sacrosanto diritto di conoscere chi lavora per il pubblico, perché e per quanto «si sventola la bandiera della privacy, che viene buona solo per nascondere ciò che non si vuole far sapere».

«Il migliore antidoto è la costruzione di uomini educati, che abbiano capacità critica e conoscenza del valore della legalità». A dirlo è il pubblico ministero Pasquale Addesso, magistrato della Dda di Milano: «Le mafie qui a Como rispondono a una domanda forte che arriva dal territorio: la domanda di evasione fiscale e di contanti». E allora agli imprenditori il magistrato dice: «Bisogna educare alla qualità dell’organizzazione di un’impresa che difende il valore dell’impresa stessa dalle contaminazioni». E attenzione: perché il «nemico che cerca sempre più di confondersi».

Si nasconde, ma è ben visibile, afferma Andrea Carnì, coautore del libro “Mafia ed economi”: «Dietro alla logica del ribasso c’è lo sfruttamento del lavoro. Quando un imprenditore punta ad abbassare i costi si lascia via libera alle infiltrazioni. Ci stiamo giocando la partita decisiva tra società libera e mafia. Ed è proprio qui, in questi territori, che ce la giochiamo».

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