Gli alberi subiscono il cambiamento climatico: «la loro è una rivoluzione silenziosa»

Intervista Dal passo dello Stelvio a Como sono tante le specie in sofferenza nei boschi del nostro territorio, da quelli che ci circondano salendo fino al Passo dello Stelvio. La professoressa Nicoletta Cannone, dell’Università dell’Insurbia, spiega quanto è urgente intervenire

Ci vuole tempo perchè il cambiamento arrivi a essere evidente fuori dalle nostre finestre, fino a essere innegabile ai nostri occhi, ancora di più bisogna pazientare prima che venga accettato. Il dato di fatto è però che il clima sta cambiando ormai da qualche anno e a mandarci i segnali sono soprattutto loro: gli alberi. Per capirlo, basta mettersi in ascolto. A spiegare come interpretare la loro lingua è Nicoletta Cannone, presidente dei due corsi di laurea in Scienze dell’ambiente e della natura e Scienze ambientali, docente di Botanica ed esperta proprio del cambiamento climatico e dei suoi effetti.

- Per leggere l’intervista interamente è necessario essere registrati, farlo è semplice e gratuito, basta cliccare qui.

Professoressa, dove si vede maggiormente questo impatto del cambiamento climatico sulla flora?

Gli impatti del cambiamento climatico negli ecosistemi del territorio lombardo sono evidenti soprattutto sulle Alpi. Quest’anno, che ha visto eventi di siccità estrema, ci ha fatto rendere conto che qualcosa sta cambiando anche in pianura e in collina, mentre sulle Alpi il fatto era evidente già da anni perchè lì la risposta degli ecosistemi al riscaldamento è molto rapida. Le Alpi sono una delle tre regioni - insieme ad Alaska e penisola antartica - che, nel periodo dal 1950 al 2000, hanno subito un riscaldamento che è il doppio della media globale.

Cosa si osserva nello specifico?

Gli effetti di questo riscaldamento intenso e rapido sulla vegetazione sono molto chiari: si sta verificando una migrazione di massa delle piante che si spostano verso quote superiori cercando un clima più fresco. Sono in atto delle trasformazioni ambientali per cui non si vede solo una risposta a livello di singole specie che cambiano il loro areale di distribuzione, ovvero la loro modalità di distribuzione spaziale, ma l’impatto è tale che questa cosa si vede a livello dell’intero paesaggio. C’è un’invasione di arbusti, che provengono da quote più basse, e vanno a sostituire le praterie, che a loro volta invadono le vallette nivali, le quali si spostano verso la cresta. Oltre, ovviamente non si può andare e si viene a realizzare quello che in termini scientifici chiamiamo “debito d’estinzione”.

Ovvero?

L’estinzione non è un fatto che avviene in modo immediato, ma richiede diversi anni perchè le specie alpine per poter sopravvivere hanno bisogno di determinate condizioni, hanno periodi riproduttivi lenti e vivono molto a lungo. Quello che vediamo è però che alcune specie alpine tipiche sono in forte regressione. Abbiamo calcolato il debito di estinzione per le zone alpine e in particolare per il Passo dello Stelvio: tra il 1999 e il 2000 il 33% delle specie era a rischio, oggi le analisi parlano del 66%.

Un processo in atto da lungo tempo, quindi?

Esatto, anche se negli ultimi tempi gli indicatori vegetali parlano di una fortissima accelerazione degli impatti del cambiamento climatico. Infatti, si stanno espandendo specie arbustive e arboree del genere dei salici - piante pioniere capaci di resistere in situazioni anche molto estreme - tipiche di quote molto più basse, ma che ora arrivano addirittura a 3000 metri di quota, in aree appena deglaciate. Il processo più generale di entrata ed espansione degli arbusti - riconosciuto a livello globale come risposta della vegetazione al cambiamento climatico - sulle Alpi è iniziato alla fine della piccola età glaciale, alla fine del 1870, ha avuto un picco dopo il 1950 e dal 1970, con l’aumento delle temperature, ha attivato anche l’entrata degli alberi di quota più bassa a queste altitudini.

E le conseguenze quali sono?

Parliamo di variazioni di paesaggio e biodiversità che poi hanno conseguenze sulla capacità delle piante di catturare la CO2 atmosferica, ma c’è un impatto anche sull’evoluzione e la fertilità dei suoli, sulla disponibilità di habitat per la fauna, oltre che sulla trasformazione di un paesaggio che è sì naturale, ma anche economico. Se il bosco sostituisce le praterie in montagna tutto un insieme di servizi ecosistemici va perso. Tra l’altro, l’aumento dell’anidride carbonica atmosferica accelera ulteriormente lo sviluppo delle piante arbustive e arboree anche nelle zone in cui non dovrebbero esserci.

Alla luce di questi fatti, a chi non crede che un vero e proprio cambiamento climatico sia in atto, lei cosa risponde?

Le piante, diversamente dagli animali, hanno una modalità che io chiamo “rivoluzione silenziosa”: quando ti accorgi che le cose sono cambiate è già troppo tardi. Le piante sono degli ottimi bioindicatori proprio perchè non si possono muovere: o sopravvivono adattandosi o spariscono. Questo è un dato. Peraltro stiamo parlando di qualcosa che non è nuovo, ma è iniziato tra quaranta e cinquant’anni fa e negli ultimi anni sta subendo un’accelerazione incredibile. Noi che facciamo questo lavoro di ricerca ormai da tempo scriviamo che sta succedendo qualcosa. Il nostro gruppo di ricerca che lavora anche nelle zone artiche e antartiche ha pubblicato un articolo sull’evidenza dell’accelerazione degli impatti del cambiamento climatico anche in Antartide, dimostrato studiando le piante: il nostro studio è stato ripreso anche da The Guardian.

Ma i cambiamenti di cui parla ormai sono evidenti anche a chi non si occupa di ricerca scientifica, giusto?

Qui in alta montagna ci siamo accorti che le piante - che adesso dovrebbero essere nel picco della fioritura, con foglie ben verdi e semi sviluppati - sono già come a metà settembre. Ma la senescenza anticipata è evidente anche più in basso, vicino al lago e nei boschi intorno a Como, dove lo stress idrico delle ultime settimane è stato molto forte. Molte specie faticano a fare i fiori e iniziano a comparire infestazioni da funghi parassiti (si chiamano “oidi”) che distruggono i semi mangiandone le riserve di zuccheri. Questi stessi funghi in passato avevano causato gravi carestie. Alcuni pastori sono preoccupati per il bestiame abituato a pascolare nelle praterie di alta quota che quest’anno sono secche e poco nutrienti: serve dare fieno artificialmente, ma non c’è modo di procurarsi più fieno del solito tra la mancanza di materie prime, la guerra e il fatto che non sta crescendo niente. Ci vuole poco perchè questi fatti coinvolgano anche la nostra catena alimentare.

Come bisognerebbe intervenire?

Il trend è ormai globale e dovrebbe smuovere anche l’attenzione dei politici perchè è arrivato il momento di fare qualcosa, ma nessun programma dei grandi partiti che si presentano alle elezioni questo autunno ha chiare indicazioni o progettualità riguardo a queste tematiche. Finora peraltro le risorse del Pnrr non sono state investite in modo sensato, per esempio si sarebbero potuti sistemare gli acquedotti, questo avrebbe giovato molto all’emergenza siccità cui abbiamo assistito . Servono interventi concreti e politiche di adattamento serie perchè sempre più spesso vedremo una forte siccità alternarsi a periodi di precipitazioni eccessivamente intense. La nostra specie non è indipendente dall’ambiente, è tutto il contrario e dobbiamo provare a ricordarcene.

© RIPRODUZIONE RISERVATA