Cronaca / Como città
Sabato 15 Novembre 2025
Omicidio Mazzotti, la scelta della famiglia: «Abbiamo detto no alla pena di morte»
Il ricordo Le parole di Arianna, la nipote della diciottenne rapita dalla ’ndrangheta, al Rotary. «La zia era dolcezza e sorrisi. Il suo sequestro è un pezzo di storia d’Italia da raccontare»
Como
«La zia Cristina era dolcezza e sorrisi. Per questo la famiglia ha scelto l’amore e non l’odio». E quando tutti invocavano la pena di morte contro i rapitori e gli assassini «i miei nonni hanno detto subito: “questo no”».
Arianna Mazzotti, nipote di Cristina Mazzotti, la prima donna sequestrata e uccisa dalla ’ndrangheta nella terribile stagione dei rapimenti a scopo di estorsione, offre una lezione di umanità e legalità mentre parla in una serata del Rotary Club di Como. Ospite della presidente Daniela Barattieri, Arianna, nata pochi giorni dopo il sequestro avvenuto a Eupilio cinquant’anni fa, ha raccontato dell’eredità della zia: un’eredità di consapevolezza, altruismo, cultura sui temi della criminalità organizzata, che attraverso la Fondazione Cristina Mazzotti, Arianna porta nelle scuole e tra i giovani di tutta Italia.
Una ferita che non si è mai chiusa
Il rapimento della giovane, il 30 giugno 1975, è tornato d’attualità dopo il via al processo a carico dei presunti esecutori materiali del rapimento: «Le udienze in corso a Como - ha detto Arianna - hanno azzerato i 50 anni trascorsi. Me ne sono accorta ascoltando mio papà e mia zia raccontare in aula quello che hanno vissuto con una fatica incredibile. Mi sono resa conto improvvisamente dell’enorme dolore e della portata di questa tragedia. E mi ha scioccato. Perché e in tutta la mia infanzia io mio fratello i miei cugini siamo cresciuti in una famiglia felice, allegra e unita. Ora so che questa è un’eredità di quello che la famiglia aveva vissuto nel 1975».
Unita la famiglia lo è stata anche cinquant’anni fa: «In quei due mesi nella casa di Eupilio sono arrivati i cinque fratelli di mio nonno, venuti da Roma. I fratelli di mia nonna da Erba. La famiglia è stata circondata di affetto e di calore». Fino all’1 settembre: «Quella sera è arrivata una telefonata dall’allora direttore de La Provincia, Gianni De Simoni, che è stato molto vicino alla nostra famiglia. Raccontò che il corpo di Cristina era stato trovato in una discarica in Piemonte e non voleva che noi lo sapessimo dai telegiornali».
La storia è nota: la giovane tenuta un mese in una buca sottoterra, drogata con tranquillanti e morta di stenti.Poi l’ultimo saluto, a Eupilio. Arianna mostra una frase del libretto distribuito quel giorno al funerale: «I miei nonni avevano voluto scrivere due cose soprattutto. La prima: “fa che il suo sacrificio risparmi per sempre ad altri le sue e le nostre sofferenze”. E poi: che ora Cristina non era più solo loro, ma di tutti perché tutti l’hanno amata». Una frase che conteneva «un messaggio forte alle migliaia di persone che erano accorse al funerale di Cristina. La mia famiglia era rimasta chiusa in casa per due mesi, è uscita il giorno dell’adio ed è stata sorpresa da una folla di migliaia di persone. E il primo pensiero è stato per gli altri: il dolore di Cristina non poteva e non doveva essere di nessun altro».
Il messaggio per i giovani
E poi l’amore, contrapposto all’odio e alla violenza «della miseria umana», come l’avevano definita i genitori di Cristina. «In quegli anni era stata chiesta la pena di morte per i colpevoli dell’omicidio della zia, e qui la mia famiglia ha detto subito “questo no”». Un messaggio di legalità, prima ancora che di umanità. E un messaggio di speranza: «Per questo oggi ci rivolgiamo ai giovani. A loro diciamo che il dolore c’è stato e c’è, ma c’è stato un processo, giustizia è stata fatta in gran parte. E a loro chiediamo di informarsi, innanzitutto. Conoscere, sapere. Perché la storia di Cristina, della ‘ndrangheta, è un pezzo di storia del nostro Paese. Che non può e non deve essere dimenticata».
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