la ticosa
e una città
ripiegata
sull’“io”

Dal tutto al niente e viceversa. La storia dell’area Ticosa è un catalogo, contraddittorio e paradossale, di tentativi e rinunce, di accelerate e frenate, di “discese ardite e risalite”. Da scriverci un libro, si potrebbe dire, non ne fossero già stati pubblicati in abbondanza (l’ultimo - dello scorso anno - è il racconto attraverso le fotografie di un osservatore sensibile e paziente come Gin Angri: “Ticosa. Immagini da una storia dispera. 1980-2022”, Confcooperative Insubria, Nodo Libri).

E così anche le interpretazioni variano in una scala che va dalla “straordinaria intuizione” (quella che portò il Comune, 40 anni fa, ad acquistare il comparto in dismissione) al “gigantesco errore”. In 4 decenni abbondanti la città non solo non è riuscita ad attuare un progetto di rigenerazione, ma nemmeno ad esprimere una progettualità condivisa. Più che gli edifici demoliti (con quella festa inappropriata del 2007, diventata beffa nel volgere di qualche stagione), solo la natura ha portato qualche trasformazione visibile (e sorprendente), regalandoci una piccola area di vegetazione spontanea e quel piccolo laghetto, tanto poetico quanto osteggiato. Perché era un paradiso per le zanzare che poi (non conoscendo, loro, confini e limiti) vagavano per il quartiere, con gran fastidio dei residenti. Così il laghetto è stato prosciugato ed è finita la prospettiva di una natura che disegna il futuro (altro che architetti...). Che storia sarebbe stata, da scriverci (tanti) altri libri: la città del lago più famoso al mondo che attorno ad una pozza d’acqua che si è formata casualmente (per capirci, compare ancora su alcune mappe digitali) ridà forma alla sua area più discussa. Un esito all’altezza di una vicenda urbana tanto intensa, in linea con le tanto decantate nature-based solutions così presenti negli scenari delle trasformazioni urbanistiche contemporanee. Invece in Ticosa si sono sempre cercate ipotesi più tradizionali. E ci hanno provato in tanti. Politici: dalla Prima alla Seconda Repubblica, di destra, di centro e di sinistra. Adesso la lista civica che più civica non si può, della nuova amministrazione. Progettisti, con nomi di rilievo: il concorso ad inviti del 1993 fu vinto da uno dei Maestri della Scuola ticinese, Luigi Snozzi. Ma quei progetti sono solo memoria di un futuro mai realizzato. Ma anche imprenditori: la Multi che per alcuni anni, tra 2006 e 2010, affianca l’amministrazione in un’ipotesi di partnership pubblico-privata è una società olandese, multinazionale del real estate.

L’esperimento del Setificio

Alla base dei ripetuti stop, tante difficoltà oggettive: le congiunture economiche, le bonifiche, le burocrazie. Ma probabilmente anche una questione più profonda: la città non ha mai individuato quello che vuole (se davvero vuole qualcosa). Ha provato ad “ascoltare” i cittadini più giovani Elena De Franco, professoressa di chimica al Setificio. Quando la Scuola le ha chiesto - un paio di anni fa - di strutturare un percorso di educazione civica, ha portato i suoi studenti, proprio lì, alla Ticosa. «Nonostante non siano architetti, ma studenti di chimica, hanno provato a progettare il futuro attraverso idee bellissime, ingenue magari, ma autentiche: un giardino, prati e alberi, campi da gioco, un museo, anche qualche nuovo edificio per appartamenti. C’è tanta energia e tanta voglia di riconquistarsi quello spazio».

Per Elena la Ticosa è qualcosa di più di un’occasione didattica. Vive - con Federico e con i piccoli Dario, 10 anni, e Claudio, 7 - in un appartamento che si affaccia su quel grande vuoto: «A furia di vederlo tutti i giorni non ci facciamo più caso. Ma è una risorsa incredibile. Il quartiere di via Milano è molto particolare, ci sono tanti servizi, adesso hanno riaperto anche l’Astra. La strada è sempre viva».

Chi conosce bene questo luogo - affascinante e complicato - è Salvatore Reina, proprietario di un negozio (ma lui la chiama orgogliosamente bottega, ci lavora il cuoio) in via Milano. Uno dei pochi gestito da italiani: «Intorno a questa strada ruota il mondo. Non mancano i problemi certo, tanti negozi stanno chiudendo, ma c’è una comunità coesa. La Ticosa? Chi ci crede più? Serve un’idea forte. Magari uno spazio per eventi, c’è tanta voglia di occasioni di incontro, e gli spazi non sono molti».

La questione parcheggi

E se fossero (solo, tanti) parcheggi? «Certo, servono. Ma possiamo risolvere tutto così?», si chiede. Ed è un dubbio sollecitato dall’ultima (sarà l’ultima?) proposta sul tavolo: 650 posti auto sotto pergole fotovoltaiche per produrre energia dal sole. L’idea, in corso di sviluppo, è di Acinque, la multiutility dei servizi. La benedizione, per coerenza con il programma elettorale, è dell’amministrazione comunale.

Dietro lo slogan (“parcheggio green” i titoli), si rinuncia ai voli pindarici a favore di un approccio tutto concretezza: aiuterebbe un po’ la mobilità cittadina, un po’ la produzione energetica, con tempi di attuazione non biblici. E con una destinazione che, con sfumature diverse, pare mettere d’accordo tutti o quasi.

Luigi Castiello ha da 8 anni un negozio di prodotti campani, in via Grandi. Una delle poche vetrine che si affacciano sulla Ticosa: «Abbiamo visto tante volte iniziare dei discorsi che poi sono finiti in nulla. Quindi resto un po’ scettico. Non sono comasco, ma napoletano, fatemelo dire: in questa città quando si parla troppo, si perde tempo e non si ottiene nulla. Se i parcheggi sono un modo per fare finalmente qualcosa ben vengano. Ma non solo per le macchine, anche per i bus turistici. E con bus navetta per andare in centro». Un grande hub della mobilità, insomma, un’infrastruttura di servizio per cittadini e turisti. «Vanno bene i posti auto, ma non solo quelli - aggiusta la linea Elena - Sarebbe bello che la Ticosa diventasse un pezzo di questa città. Cosa mi piacerebbe? Campi sportivi, i miei figli dicono una piscina. Certo, a Como non ce ne sono più. Un grande parco magari. Tutto tranne un centro commerciale! Ma forse la funzione è secondaria. Ci piace l’idea di poterci tornare lì dentro».

Confini e libertà

Rientrare, vivere e abitare questo spazio off-limits. Quasi una rivoluzione in una storia urbana fatta prevalentemente di confini e di steccati. Sono quelli fisici di un luogo - più di 40mila mq - che confina da una parte con il cimitero e dall’altra con la tangenziale. Tradotto, non un pezzo di città ma un’isola. Nel bene e nel male. Infatti i progetti hanno prevalentemente raccontato un futuro di autonomia con poche connessioni. Ma confini e steccati sono anche ideologici. È un’area il cui nome (Ticosa, la Ticosa, l’ex Ticosa) rimanda ad una vicenda tanto radicata quanto traumatica nella storia sociale. In cui ognuno ha sempre visto i “propri” buoni e i “propri” cattivi. E ha ospitato, spesso casualmente, alcuni momenti straordinari: come il censimento dei primi anni Novanta, quando il Comune diede la residenza ad un gruppo di immigrati rifugiati nel corpo a C, trasformato per anni in un luogo di coesistenza, adattamento e solidarietà. Oppure i germi di rigenerazione artistica nello Spazio Shed, a cavallo del Duemila. Oggi sarebbe un’esperienza tra tante, allora una grande innovazione.

Ma proprio questa identità profonda sembra essere un ulteriore limite. Perché l’impressione di tanti è che in quel posto, qualsiasi idea - buona o cattiva, ambiziosa o pragmatica - si brucia. In questo la Ticosa è sempre più emblema di Como. Città dell’“io” e non (ancora?) del “noi” (che avrebbe bisogno di quelle infrastrutture sociali e comunitarie, raccontate dal sociologo Filippo Barbera nel suo recente “Le piazze vuote. Ritrovare gli spazi della politica”, Laterza). In questo, la sua rigenerazione è da immaginare non come un “happy end” ma come un ritrovato punto di partenza.

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