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Domenica 15 Giugno 2025
Atlantide sommersa: i “testi ritrovati” di Jorge Luis Borges
Libri Gli scritti dal 1933 al 1983 dell’artista argentino raccolti e pubblicati da Adelphi ne “La mappa segreta”. Miscellanea di riflessioni, tra avventura e scoperta
Ci sono molti modi per “raccontare” e “raccontarsi”, che a ben vedere sono più o meno la stessa cosa, perché si è capito che l’utopia flaubertiana del “mot juste”, la “parola esatta”, è destinata a rimanere tale. Lo stesso discorso vale per il “grande stile”, il “narratore onnisciente” e più ancora l’impersonalità della cosiddetta narrazione “totale”, che avrebbe dovuto risolvere nella figurazione artistica e nella reinvenzione letteraria la magmatica e sfuggente complessità del reale.
I “personaggi”, più che di un “autore”, sono ormai in cerca di una maschera, di una finzione in cui credere. Dopo un secolo e mezzo di positivismo, “magnifiche sorti” e ingenue quanto strumentali mitologie del progresso, come ricordava giustamente Ennio Flaiano, dovrebbe esserci definitivamente chiaro che lo scetticismo e il dubbio costituiscono l’approccio più sensato e ragionevole alla tragicommedia umana.
Raccontare raccontandosi
Ecco perché l’unico modo rimasto per raccontare veramente, sfuggendo alla ricerca della maschera, della messinscena e della finzione, consiste con ogni evidenza nel raccontare raccontandosi. È un genere letterario che si potrebbe definire “autobiografia obliqua” e consiste nel parlare di sé parlando degli altri, o in altri termini nel fornire un’immagine della propria vita descrivendo oppure evocando quella altrui. L’“autobiografo obliquo” per eccellenza è stato senza ombra di dubbio Jorge Luis Borges, che ha sintetizzato le caratteristiche del genere e le sue credenziali poetiche in un meraviglioso apologo contenuto ne “L’artefice”.
L’io narrante (o comunque colui che dice “io” ma forse è un altro, come ha scritto lo stesso Borges in un altro apologo), giunto al termine della vita, si rende conto che il proprio volto – e cioè la propria essenza più intima – è definibile soltanto in maniera indiretta ma in compenso tanto più vera ed autentica, perché quel volto è costituito dalle persone che ha amato, i dipinti che ha ammirato, le musiche che ha ascoltato, le cose che ha immaginato, i luoghi che ha visto. Non da ultimo, dai libri e gli autori che hanno modellato la sua visione del mondo (i “precursori”, secondo una felice definizione poi mutuata da Vargas Llosa nel caso di Flaubert e “Madame Bovary”). Considerata all’interno di una simile prospettiva, l’autobiografia obliqua si configura non solo come genere letterario, ma anche e soprattutto come principio conoscitivo, abito dell’intelligenza e costume etico.
Viaggio dell’immaginazione
Tutti i libri di Borges sono schiettamente “borgesiani”, ma ce ne sono alcuni che sono ancora più “borgesiani” degli altri. Tra i tanti libri nei quali lo scrittore argentino ha parlato delle opere e gli autori che hanno plasmato in maniera fondamentale il suo “volto” – prescindendo dai grandi testi narrativi, che si presentano come autobiografie oblique perfettamente risolte in un modo di narrare apparentemente impersonale – spiccano i due volumi pubblicati da Adelphi che raccolgono una vasta scelta delle quasi duemila pagine dei “textos recobrados”, i “testi ritrovati”, recuperati e radunati dopo la scomparsa di Borges e pubblicati in lingua originale in tre volumi, tra il 1997 e il 2003.
Dopo i testi giovanili degli anni Venti, riuniti in “Il prisma e lo specchio”, uscito nel 2009, è ora la volta de “La mappa segreta”, un volume che raccoglie i testi dal 1933 al 1983. Per capire il significato e l’importanza di questi due volumi, soprattutto de “La mappa segreta”, è tuttavia necessaria una breve spiegazione: il sostantivo “textos”, “testi”, va inteso in senso molto ampio, differenziato e “borgesiano”, perché più che di testi o saggi nell’accezione tradizionale si tratta di variazioni e divagazioni su un tema, un argomento, un libro o un autore, con l’autore Borges che molto spesso si svela nascondendosi e si nasconde svelandosi.
Io, tempo e fugacità
È in questo senso che si spiega la metafora della “mappa segreta”, che sembra alludere alla “Biblioteca” quale luogo ideale e immaginario, dove si nasconde e si svela il mistero per decifrare la realtà, allo stesso modo in cui si spiega un’altra metafora molto suggestiva, l’“Atlantide sommersa”, che rimanda all’idea della scoperta, dell’avventura e del viaggio immobile, perché compiuto in virtù della sola immaginazione, tra le pagine dei libri e la fantasia degli autori. Due, in particolare, amatissimi e quasi venerati da Borges: il “Don Chisciotte” di Cervantes e la “Divina Commedia” di Dante, ai quali ne “La mappa segreta” sono dedicate parecchie pagine di una bellezza quasi insidiosa, perché sembrano indicare il cuore della “Biblioteca”, dove è racchiuso, nascosto e svelato il mistero.Ma l’elenco dei “precursori” è molto vasto (le poesie di Apollinaire e i racconti di Kafka, gli scritti di Nietzsche – dei quali Borges fornisce all’inizio degli anni Trenta una delle prime letture affrancate da ipoteche ideologiche – e i normalissimi incubi di Poe, per citare alcuni esempi, senza dimenticare i grandi “precursori” argentini, in particolare José Hernández, Leopoldo Lugones e Ricardo Güiraldes) e nel suo insieme esprime davvero la cifra più autentica dell’autobiografia obliqua e della sua dialettica volutamente irrisolta: io sono io, ma sono anche tutti questi altri, sono tutte queste pagine che ho letto, che non ho scritto io ma è come se le avessi scritte, perché costituiscono la sostanza della mia esistenza.
Nessuno come Borges ha sviluppato con tanto rigore una simile dialettica, che in definitiva è la dialettica stessa della vita e si fonda sull’“inconsistenza dell’io”, perché «una persona non è altro che la serie incoerente e discontinua dei suoi stati di coscienza», e poi perché «la sostanza di cui siamo fatti è il tempo o la fugacità». Da questo assunto si sviluppa il dialogo fra due “interlocutori”, come li definisce Borges, che «lo scorrere del tempo avvicina e allontana, ma non separa»: lo scrittore e il lettore, entrambi alla ricerca della “mappa segreta”. Verrà infine trovata la “mappa segreta”? Sarà possibile calarsi fino all’“Atlantide sommersa”? Probabilmente no. Eppure lo scettico e dubitoso Borges dei “testi ritrovati” lascia aperta una tenue speranza, suggerendo in maniera elusiva che lo scopo non è nell’approdo, ma nel viaggio.
Come dice uno dei testi su Dante: «C’è una prima lettura della “Commedia”, non ce n’è un’ultima, perché il poema, una volta scoperto, continua ad accompagnarci fino alla fine. La “Divina Commedia” è una città che non esploreremo mai tutta; la più conosciuta e ripetuta delle terzine può, un pomeriggio, rivelarmi chi sono o che cos’è l’universo».
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