Fidanzata d’Italia: le lettere ad Alida specchio del paese

Giovedì 20 novembre Federico Vitella presenta al cinema Astra di Como il suo nuovo libro sulla Valli prima della proiezione del film “Un mese al lago”

Ne ha vissute di avventure, belle e brutte, Alida Valli tra i due rami del Lario: le traversate del lago a nuoto, le amicizia, l’amore, ma anche la perdita dell’amato e un linciaggio evitato solo grazie al suo coraggio il 25 luglio del ’45 a Bellano, quando fu ingiustamente tacciata di essere l’amante del Duce. Poi vi ha girato due film importanti a distanza di oltre mezzo secolo: “Piccolo mondo antico” nel 1941 e “Un mese al lago” nel 1995. Quest’ultimo sarà proiettato giovedì alle 20.30 al Cinema Astra di Como, preceduto dalla presentazione del libro “Lettere ad Alida Valli” di Federico Vitella (per informazioni: https://www.astracinema.it/). Cominciamo qui un’intervista che proseguirà sul palco della sala cinematografica.

Vitella, il suo libro ci restituisce un’Alida Valli “fidanzata degli italiani” già in giovanissima età. Quando e come è nata questa sua popolarità?

La popolarità di Alida Valli nasce precocemente, tra la fine degli anni Trenta e i primi Quaranta, quando il cinema italiano diventa un grande laboratorio di identità collettiva. I rotocalchi generalisti e le riviste specializzate raccontano una ragazza “normale” ma brillante e spigliata, che incarna l’ideale di una giovinezza insieme sana e moderna. Nei film di Mario Mattoli o Max Neufeld il pubblico riconosce questa immagine sullo schermo: una protagonista che unisce grazia e determinazione, dolcezza e iniziativa. I personaggi di finta ingenua che interpreta – dalle studentesse intraprendenti di “Assenza ingiustificata” e “Ore 9: lezione di chimica” – propongono un modello femminile sorprendentemente emancipato, capace di conciliare le contraddizioni di un’epoca sospesa tra tradizione e modernità. Per gli uomini, invece, Valli rappresenta un desiderio rassicurante e possibile: la ragazza della porta accanto che conquista senza travolgere.

Come Marilyn Monroe veniva mandata a visitare i soldati e il suo volto fu utilizzato anche per manifesti di propaganda. Com’è stato il rapporto di Alida Valli con il fascismo?

La carriera di Valli si sviluppò pienamente all’interno dell’apparato cinematografico fascista, che dalle persone famose pretendeva una partecipazione visibile alla causa nazionalista. La giovane attrice fu indotta a prendere parte a cinegiornali e tournée di propaganda, a visitare gli ospedali militari, a prestare finanche il volto alle cartoline motivazionali per l’esercito. Peraltro, il suo tipo fisico, più nordico che mediterraneo, rispondeva perfettamente all’improbabile progetto razziale promosso dal regime. Ma la stessa guerra finì per incrinare progressivamente le certezze di quella prima Valli: la retorica patriottica appariva sempre più distante dall’esperienza reale del Paese e, pur pesantemente sollecitata dai gerarchi fascisti, non accettò mai di schierarsi con la Repubblica di Salò. La sua popolarità, alimentata dai media di Stato, finì per sopravvivere alla stessa propaganda che l’aveva promossa.

Colpisce il fatto che alcuni scrivano ad Alida per chiedere la sua intercessione, o anche un intervento economico diretto, al fine di risolvere problemi personali, come accadeva in certe lettere rivolte al Duce...

Le lettere dei fan mostrano un meccanismo affascinante: lo spettatore, rivolgendosi alla diva, si appella a una figura percepita come influente e benevola, capace di ascoltare e intervenire. Si chiede una fotografia autografata anzitutto, quando non capi d’abbigliamento e intercessione presso terzi, ma anche solo un consiglio, un aiuto, una parola di conforto. È un gesto che rientra nella ben nota tradizione delle “lettere ai potenti”, trasposto nel campo dell’immaginario popolare. Attraverso la star, nel profondo, uomini e donne di ogni estrazione cercano una forma di riscatto simbolico, la possibilità di essere visti e riconosciuti. È la prova di quanto il cinema avesse conquistato un ruolo centrale nella vita emotiva degli italiani, in una congiuntura mediale che lo vedeva raggiungere il pieno centro dell’industria culturale.

Dalle lettere emerge anche il legame dell’attrice con Como, di cui gli ammiratori sono a conoscenza attraverso i rotocalchi. Che ruolo ha questa “piccola patria” per Alida e per i suoi ammiratori?

Il legame con Como, la sua “piccola patria”, è fondamentale. Le riviste ne parlano spesso, inserendo ricordi e confessioni nelle interviste e nei racconti autobiografici che i lettori divorano per la loro aura di verità. Sulla stampa gli ammiratori cercano dettagli minuti – la casa, la madre, il lago, l’infanzia – da usare come coordinate di un rapporto percepito come autentico e personale. I rotocalchi trasformano quella geografia privata in un luogo mitico, dove la diva e la donna sembrano finalmente sovrapporsi. Chi scrive da città vicine lo fa anche in nome di una prossimità geografica e sentimentale: per Alida Valli Como resta il rifugio familiare, per gli ammiratori il punto in cui la celebrità si fa prossima, quasi tangibile, oltre i lustrini di Cinecittà.

Di solito gli ammiratori le scrivono presso le redazioni delle riviste o a Cinecittà, ma a dicembre del 1948 avviene un fatto curioso: Alida fa visita alla madre a Como in una pausa delle riprese del “Terzo uomo” in corso a Vienna, e un giornalista rende pubblico l’indirizzo della casa di via Torno...

L’episodio del 1948, quando “La Stampa” pubblica l’indirizzo della casa di famiglia, segnala quanto nel dopoguerra la cultura della celebrità si fosse intensificata. In poche ore arrivano lettere, fiori, curiosi davanti al portone: un piccolo caso di costume che mostra bene il bisogno ormai diffuso di ridurre la distanza fra schermo e vita reale da parte degli italiani. Gli spettatori non si accontentano più di guardare, vogliono stabilire un contatto concreto con chi li emoziona, prolungando l’esperienza di consumo del film oltre la sala. La stagione del neorealismo, che avvicina gli attori al pubblico e restituisce verità ai volti finzionali, rilancia enormemente questa esigenza di prossimità e autenticità. Dopo gli anni della propaganda, la comunicazione con le star assume toni nuovi, più diretti e partecipi.

Lei ha scelto di fermarsi al 1958 nella selezione delle lettere. Come sono cambiati nel frattempo Alida Valli e il rapporto con il suo pubblico?

Ho scelto di fermarmi al 1958 perché in quegli anni si chiude davvero un ciclo, biografico e culturale. I vecchi ammiratori del fascismo scrivono ancora, ma il loro linguaggio si è trasformato, riflettendo il passaggio da un’Italia di sudditi a un’Italia di cittadini. L’attrice, lasciatasi alle spalle l’avventura agrodolce di Hollywood, diventa con “Senso” la musa del cinema d’autore europeo, mentre nuove giovani star – Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Silvana Pampanini – incarnano meglio la fisicità prospera e ottimista della ricostruzione. Quello di Alida Valli resta un divismo ormai consegnato al passato, troppo connotato da un’altra epoca storica per sopravvivere e rappresentare degnamente la nuova Italia del benessere e del miracolo economico.

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