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Giovedì 11 Dicembre 2025
“Gioia mia”, il sapore dei vecchi tempi
Nelle sale Esce oggi al cinema il film rivelazione dell’ultimo Festival di Locarno, con un doppio riconoscimento. Una storia ambientata in Sicilia, dove il ragazzino Nico viene mandato a trascorrere l’estate dalla prozia paterna
È stata la rivelazione italiana dell’ultimo Locarno Film Festival, nel quale ha ricevuto un doppio riconoscimento nel concorso parallelo Cineasti del presente: il premio speciale della giuria e il premio di miglior attrice per la coprotagonista Aurora Quattrocchi. È “Gioia mia” dell’esordiente Margherita Spampinato, in arrivo ora nelle sale.
Trama
Siamo in Sicilia, dove il ragazzino Nico è mandato d’estate dalla prozia paterna Gela, giacché i genitori sono impegnati con il lavoro e la babysitter si sta per sposare. Il mondo del primo, figlio unico, vivace, scontroso e impertinente, cresciuto in una famiglia laica, in un mondo moderno, tecnologico e iperconnesso, si scontra subito con quello dell’anziana. Una zitella religiosissima e scorbutica che vive sola, in un antico palazzo completamente fuori dal tempo, senza tecnologie, né wi-fi né elettrodomestici, ma pieno di oggetti datati, di leggende e superstizioni.
La zia accoglie l’ospite con fastidio e cerca di farlo adeguare al suo universo popolato da angeli e spiriti, utilizzando metodi severi, come i castighi, cui Nico non è avvezzo. Ne risulta l’incontro scontro tra il mondo contemporaneo di un preadolescente che vive con il cellulare in mano e quello del “Medioevo” (come il piccolo infastidito dice alla madre al telefono) di una donna chiusa nei ricordi in mezzo a muri coperti di immagini sacre. L’ambientamento del nuovo arrivato è reso difficile anche dai bambini del condominio, che lo bullizzano subito dal primo giorno, anche se poi farà amicizia con la vicina coetanea Rosa. E il gruppo avrà un ruolo nell’evoluzione della vicenda.
Grazioso e curioso
Un film grazioso e curioso, non privo di stereotipi, ma ben giocato nel contrasto e nella dinamica tra i due, tra il ragazzino sveglio in un mondo che non conosce e la donna chiusa nelle sue abitudini, nei suoi ricordi e nei suoi dolori, resi anche dagli scuri delle finestre spesso serrati.
La scrittura e la messa in scena del rapporto sono sorprendenti e coinvolgenti e suggeriscono che ci possano essere avvicinamenti anche da posizioni e atteggiamenti così lontani, che ci si può aprire e crescere oppure riaprire e rimettere in discussione tanti confini dentro i quali ci si è rifugiati. Mentre è molto indovinata l’idea della casa alveare, dove quasi tutto si svolge e dietro le cui spesse mura ci si può nascondere ma dai cui appartamenti possono fuoriuscire sorprese. Se il giovane Marco Fiore è molto bravo, la magnetica Gela è interpretata da un’Aurora Quattrocchi che regala un’interpretazione memorabile, per un film che sa essere anche liberatorio.
La pellicola è pure alimentata da una sottile nostalgia per un mondo passato, riuscendo a farne quasi sentire gli odori, e il cibo non può che essere protagonista: la donna è ossessionata da preparazioni e ricette e, come una nonna (pur senza esserlo biologicamente), usa le prelibatezze siciliane per prendersi cura del bambino e avvicinarlo a sé.
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