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Martedì 13 Maggio 2025
“I pipistrelli”, dove la regola è l’abbandono
Libri Uscito in Italia il terzo romanzo dell’autrice francese Inès Cagnati, pubblicato per la prima volta nel 1989. Sette racconti in cui ogni acquisizione è passeggera e le presenze animali e vegetali si intersecano con le voci umane
Nei sette racconti che costituiscono “I pipistrelli” di Inés Cagnati (Adelphi), la regola è l’abbandono. Nessuno resta insieme alla voce che narra, ogni acquisizione è passeggera, già comunque segnata fin dal primo apparire dal presentimento del suo sfaldarsi. Cagnati, scrittrice francese di origine italiana scomparsa nel 2007, lo pubblicò nel 1989, ultimo dei suoi rari ma splendidi libri, unico dedicato alla narrazione breve.
A conferirgli un carattere difficilmente dimenticabile è lo sguardo di chi racconta dicendo io. Ovvero una voce femminile che si distende sulle diverse età della vita e che alla narrazione affida con fiducia insieme ingenua e disillusa il compito di trattenere la più alta quantità possibile di mondo.
Contrasti
È il gioco dei contrasti a dare ai testi una leggerezza malinconica: alla densità degli ambienti, dove le presenze animali e vegetali si intersecano con le voci umane, si oppone l’irrequieta provvisorietà che opacizza affetti ed amicizie, sfilacciandoli fino all’estinzione. La scrittura è l’impasto lieve che può restituire al presente il tessuto delle esperienze, interrompendone provvisoriamente l’inarrestabile smottamento. La sua caratteristica più evidente è la semplicità.
La frase è breve, spesso paratattica; le osservazioni sono asciutte; le descrizioni della campagna – è il luogo prevalente nei racconti – sono minuziose e necessarie. Tutto contribuisce ad immergerci in una condizione di stupefatto incanto, di infantile distanza, di salutare distrazione. Ma con evidenza la natura ha una funzione più complessa, Cagnati non le attribuisce il compito di costruire fondali.
Categorie
A lei è delegato l’ufficio di dividere il vivente in due inconciliabili categorie. Da una parte si trovano coloro che stanno dentro i ritmi della natura, coloro che aderiscono ai suoi ritmi, i bambini, i matti, gli animali, le piante; dall’altra stanno uomini e donne adulte, che, stanchi, risentiti, incattiviti, non riescono ad immergersi in quanto li circonda. Andando al cuore tematico del libro, possiamo dire che se i primi sono quelli che vorrebbero rimanere (in una condizione, in un luogo), i secondi sono quelli che glielo impediscono. Il movimento nei “Pipistrelli” è infatti sempre interruzione di qualcosa, fuga, impossibilità di godere della felicità.
La protagonista del primo racconto, “La tacchinella”, rifiuta la scuola, popolata da maestre arcigne; e non riesce a presentarsi all’esame – la linea di transito - smarrendosi in una successione di lievi incidenti. Nella “Ragazzina in azzurro” ad interrompersi è l’amicizia tra la bambina russo polacca e la giovanissima voce narrante, unico esile contrappeso, insieme ai giochi lontani dagli adulti, alla pesantezza della famiglia e della scuola, luoghi di coercizione e di regole incomprensibili. Immobilità e movimento sono ancora più messi allo scoperto nelle “Lucertole”, unico racconto in cui la narrazione è affidata alla terza persona. I protagonisti, il nonno e la nonna, attendono tutto l’anno la visita della famiglia della figlia nella casa di campagna.
Aspettano, come lucertole al sole, il fatidico momento, culmine di una lunga serie di preparativi, dal pranzo alla decorazione della sala. Ma l’incontro si risolve in meno di un’ora. A tavola si fanno discorsi di circostanza. Il nipote è distante e capriccioso. Il marito della figlia è asettico. La loro legge è il moto, arrivano dalla città, con l’auto. Non hanno tempo, devono subito ripartire. In altri due racconti il contrasto tra stasi e moto assume contorni dolorosi, psicotici. È il caso di “Lei” e della “Donna senza nome”. Nel primo la protagonista non riesce ad accettare di essere stata lasciata dal suo uomo, trascorre le giornate in stazione, in un’attesa deludente del suo ritorno; oppure cerca di ritrovarne le tracce nei luoghi frequentati insieme. Il suo destino è perdersi, per sempre. Nel secondo chi racconta è stata abbandonata da tutto, dall’uomo che l’andava a trovare, dai figli che non ha mai conosciuto, dal luogo dove viveva nascosta, dalla ragione stessa.
Come ci racconta, lei sa cosa avrebbe voluto: l’immobilità nel chiuso della sua baracca, incurante di quanto le si muove attorno. Quando ha vissuto in questo modo forse è stata felice, addirittura aveva ricevuto il soprannome di “Pipistrella”. Ma gli uomini non tollerano immobilità e diversità. Gli uomini vogliono movimento e uniformità. La sorte della “Pipistrella”, a lungo preannunciata, è quella di compiere il movimento estremo, lasciarsi andare verso il fondo di un pozzo, attratta dalla sua stessa immagine.
Bianco su bianco,
mantelli neri traslucidi di nuovo
sull’attaccapanni:
Bela Lugosi è morto.
I pipistrelli
hanno lasciato
il campanile, le vittime sono state dissanguate, velluto rosso
riveste la scatola nera: Bela Lugosi è morto
Bauhaus
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