Il mercato del brutto: stregati dai souvenir

Il saggio Torna in una nuova edizione il geniale “Trofei di viaggio” dell’antropologo e scrittore Duccio Canestrini. «Paradossalmente, l’avvento del web ha incrementato il consumo di questi oggetti: ci sono aste e fiere virtuali»

È una vera e propria mania, qualcosa che scatta nel cervello e ci spinge ad acquistare oggetti che, se visti su un catalogo nel comodo salotto di casa, susciterebbero risate e smorfie di disgusto, e invece quando ci trasformiamo in turisti, per caso o meno, ci appaiono come indispensabili e perfino bellissimi.

Sono i ricordi delle vacanze che l’antropologo e scrittore Duccio Canestrini magistralmente descrive nel suo “Trofei di viaggio – Per una antropologia dei souvenir” riedizione dopo vent’anni del fortunato libro che mette a nudo le debolezze di chi viaggia e vuole portarsi a casa a ogni costo l’aria di Napoli in scatola, il Cristo crocifisso in un “letto” di conchiglie, il Pinocchio made in China, la gondola veneziana in pura plastica oppure, paradosso dei paradossi, la statuetta della dea greca Afrodite, acquistata a Capri come “souvenir d’Italie” ma prodotta a Hong Kong.

Trionfo del kitsch

In viaggio si tende a dimenticare le regole e anche l’educazione, così capita che si rubino cartelli stradali esotici per piantarli magari in giardino, o si vada a caccia di penne biro con le donnine che fanno lo strip-tease se le capovolgi, schiaccianoci ginecologici oppure riproduzioni dell’Adamo nudo della Cappella Sistina. Un trionfo del kitsch che l’autore tratteggia in 18 documentatissimi capitoli - il libro gode anche di una vasta bibliografia finale - a mostrare come, soltanto in Italia, il mercato del ricordo realizzi un fatturato di oltre 700 milioni di euro coinvolgendo ben 18mila piccole aziende.

Brutto è bello insomma, ma la parola “souvenir”, che deriva dal latino “subvenire”, ossia “correre in aiuto” e diventa in italiano sovvenire, quindi tornare in mente, ricordare, è qualcosa che lega per sempre il viaggiatore all’oggetto acquistato, che messo in salotto o appeso al muro assurge a simbolo della nostra emancipazione geografica.

Al ricordo di viaggio non si sfugge, se si è restii ad acquistare la “palla di neve” con dentro la Basilica di San Pietro che capovolta la investe di una bufera di fiocchi di minutissima plastica (un tempo erano di midollo di sambuco), ci sono gli “urtisti”, venditori ambulanti che a Roma urtano i passanti con la cassetta dei souvenir appesa al collo, il cosiddetto “schifetto”, per riportarli a una compera consapevole. «Questa tecnica di circuizione dei forestieri», scrive l’autore, in uno dei nuovi capitoli aggiunti a questa edizione, «è valsa loro la definizione di “urtisti”, letteralmente coloro che urtano i turisti. L’appellativo gergale, diffuso nel dialetto romanesco, è stato poi adottato dal linguaggio burocratico del Municipio di Roma: gli urtisti sono ufficialmente riconosciuti».

I “peromanti”

Ma nella capitale si aggirano altri curiosi personaggi, i “peromanti”, venditori ambulanti di souvenir devozionali che stazionano davanti ai monumenti più importanti di Roma. I “peromanti”, ossia quelli che vanno “pe’ Roma”, da oltre un secolo sono presenti in Vaticano, e sono i discendenti degli ebrei che nell’Ottocento, grazie a un editto papale, ottennero il permesso di uscire dal ghetto per vendere rosari ai pellegrini.

«Quello del ricordo da acquistare è un meccanismo indistruttibile, un gancio mnemonico con il territorio, che ci fa passare sopra a tutto, dalla cattiva qualità del prodotto o alla sua delocalizzazione. Paradossalmente, l’avvento del web ha incrementato il consumo di souvenir, la gente li acquista online, ci sono aste e fiere virtuali, per esempio di palle di vetro con la neve», spiega Duccio Canestrini, docente al Campus universitario di Lucca.

«Questi prodotti coprono un range economico molto ampio, si va dai pochi euro dei magneti da frigorifero con la mini cartolina del luogo, ai prodotti di buon artigianato, come le riproduzioni di gondole veneziane che si vendevano un tempo, oggi sostituite da modelli in plastica. Negli autogrill i souvenir seguono l’attualità, così possiamo trovare i personaggi televisivi riprodotti in scala come i soldatini di un tempo. Oppure la moda del selfie fa sì che il ricordo di viaggio diventi lo stesso viaggiatore che si scatta autoritratti». Dalla ricerca del souvenir non si salva nessuno, nemmeno l’autore del libro, o chi scrive, che conserva sulla scrivania una “palla di neve” anni ’60 con il Sacro Monte di Varese e un pezzetto di lava vulcanica portato da un amico dall’Islanda.

I “diablitos”

«Finché ho potuto ho messo nel bagaglio a mano coltelli di ogni genere, da quelli etiopi lavorati ai sudamericani, erano tempi diversi e nessuno controllava in aeroporto. Ho perfino un pesce palla regalatomi in Giappone, il cui fegato, velenoso, serve a zombificare ad Haiti, e a casa ho scatole piene di buone cose di pessimo gusto. In viaggio ricordi le disavventure, come la volta che si ruppe il pullman in mezzo al nulla, tra il Togo e il Benin. Dormii sulla strada senza coperta», ricorda Canestrini, grande divulgatore anche attraverso conferenze e monologhi teatrali.

«Tra le cose più curiose che ho scoperto - conclude Canestrini -, c’è la leggenda dei “diablitos”, statuette artigianali a soggetto erotico prodotte dagli indios di Ocumicho, in Messico, una sorta di Kamasutra indigeno, con amplessi decisamente creativi. Andavano a ruba tra i turisti, finché un etnologo messicano scoprì che gli autori di quelle operette si erano ispirati alle fotografie di una rivista pornografica abbandonata in una locanda da un turista americano».

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