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Domenica 01 Giugno 2025
Pasolini e Dante: maestri di stile e vittime del tempo
Analisi Due figure cardine della letteratura italiana in un confronto di linguaggi e modelli sovversivi. Ma fu l’aspetto biografico a unire davvero i loro destini

Può sembrar complesso cercare delle analogie tra autori che hanno vissuto e lavorato in tempi, società e culture completamente diverse. Eppure l’analisi che mette al centro l’opera di Pier Paolo Pasolini in relazione ai testi di Dante Alighieri merita davvero delle riflessioni approfondite, se non altro per capire meglio due autori per certi versi molto complessi, capaci entrambi di unire alla passione culturale una missione civile concreta e tangibile
In questa direzione procede il libro di Emanuele Patti, “Divina mimesis – Pasolini lettore di Dante” (edito da Carocci), in cui con minuziosa attenzione viene esplorato il rapporto tra due figure cardine della cultura italiana, dimostrando le strategie adottate da Pasolini per creare un linguaggio nuovo e sovversivo a partire proprio dall’immaginario dantesco. Il titolo non lascia spazio a interpretazioni, riprendendo l’opera che Pasolini iniziò a scrivere nel 1963 e che rimase incompiuta. Venne poi pubblicata postuma da Einaudi pochi giorni dopo la sua morte e si trattava sostanzialmente di una riscrittura in chiave moderna dell’Inferno, volutamente frammentata e incompleta.
Temi
I temi trattati nel saggio sono svariati: il concetto di “realtà rappresentata”, la questione della lingua, il ruolo dell’intellettuale, e poi tutti quei riferimenti sparsi nelle opere pasoliniane. Dal romanzo “Ragazzi di vita”, in cui Roma viene definita la “Città di Dite”, luogo in cui Dante nel VII canto dell’Inferno incontra per la prima volta i diavoli, fino alla raccolta di poesie “Transumar e Organizzar”, in cui il primo verbo è lo stesso che si legge nel I canto v.70 del Paradiso.
In ambito cinematografico, emblematica risulta la prima scena di “Accattone”, la quale è sicuramente tratta dal V canto del Purgatorio e riguarda i defunti di morte violenta. Si ricorda poi la struttura adottata da Pasolini per il suo ultimo film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” che riprende, per confessione dello stesso autore, le cerchie infernali dantesche.
Biografia
Ma forse c’è di più. Perché che Pasolini potesse essere affascinato da Dante, tanto da dimostrarlo con richiami letterari e citazioni, non dovrebbe sorprendere più di tanto, trattandosi del più grande poeta mai vissuto. Quel che veramente unì queste due figure fu senza dubbio l’aspetto biografico. Non si può parlare di Pasolini e Dante senza partire dal loro vissuto. Non si può cioè definire banalmente il primo “Maestro corsaro” e il secondo “Sommo Poeta” senza raccontare lo iato che esiste tra l’immagine apprezzato da noi oggi e quella disprezzato dai loro contemporanei.
Viene spesso dimenticato che la Firenze in cui visse Dante, dilaniata da infine lotte interne, fu drammaticamente avversa al poeta toscano. Il 5 novembre 1301 Corso Donati, capo dei guelfi neri appoggiato dal Papa e da Carlo di Valois, prese il controllo di Firenze. Così per Dante, lui guelfo bianco, iniziò una lunghissima campagna denigratoria: venne accusato di essere un barattiere, un corrotto. Etichettato come traditore della città e incriminato per essersi opposto a Papa Bonifacio VIII. Gli vennero confiscati i beni e perseguitati i famigliari. Fu rimosso da ogni carica pubblica. Troppo scomodi i suoi racconti di una Firenze corrotta e conosciuta in tutta Europa per gli illeciti in materia finanziaria. Troppo fastidiose le lettere in cui definiva gli esponenti della classe politica dei “lupi rapaci”, che nel dizionario dantesco incarnano le bestie più odiose, simbolo di avidità. Fu chiamato due volte a processo e condannato al rogo. Ma il poeta non si consegnò mai ai suoi nemici e diede inizio a un lungo girovagare, esiliato dalla città: vent’ anni in una condizione di precaria solitudine fu la ritorsione del suo pensiero ribelle.
Per questo un capolavoro come la “Commedia” non va considerato solo come una straordinaria opera letteraria, perché è prima di tutto il desiderio di rivalsa provato da Dante verso una città impegnata a delegittimarlo. È la stessa sensazione che avrebbe stimolato Pasolini sette secoli più tardi nella stesura dei suoi testi provocatori e nella realizzazione dei suoi film così crudi.
Dante regista
Non è troppo azzardato guardare a Dante come al primo regista della storia: la sua “Commedia” è una narrazione che racconta la varietà del mondo, che inserisce i personaggi del suo tempo in una trama assoluta. Sono persone vive, riferimenti eterni, perché Dante prima di tutti è stato in grado di intendere verità umane profonde che tutt’oggi possiamo constatare. Quello del poeta è un invito a perdersi nella selva per conoscere il puro, nel bene e nel male, come avrebbe fatto Pasolini scoprendo le borgate. Una mentalità che per entrambi è accompagnata da un guida ideologia e morale, che in Dante si manifesta in Virgilio, mentre per Pasolini rispondeva al nome di Roberto Longhi. Così entrambi accettarono i panni di intellettuale civile, impegnati al servizio della “civitas”, e anche per questo pagarono caro la scelta di dire la verità.
Ma un altro punto di incontro si può riscontrare analizzando il tema dell’amore, tanto caro a Pasolini, che in Dante trova la sua massima espressione nel V canto dell’Inferno. Qui si trovano Paolo e Francesca, amanti colti in flagrante e uccisi dal marito della giovane donna. L’idea che Pasolini condivideva di questo canto è quella di un amore improvviso e dittatoriale, che si accende rapidamente nel cuore e non permette “a chi è amato di non amare”. Un amore spaventoso, pericoloso, che porta a fare delle pazzie e fa uscire dalla logica comune. Un amore insolito perché ambientato nell’Inferno, dunque refrattario al giudizio di Dio, che non può intervenire di fronte a tanta umanità.
È lo stesso amore che, come Dante evidenziò attraverso le parole di Francesca, “condusse noi ad una morte”, tant’è che Pasolini venne assassinato proprio durante un rapporto sessuale: il gioco di parole (amor-morte) pone l’accento sulla fusione tra i due concetti. Così come nell’atto amoroso gli individui si dissolvono l’uno nell’altro, annullano le distanze, anche con la morte si assiste ad una dissoluzione nell’eternità. Tale aspetto sarebbe poi stato estremizzato dalla visione pessimistica di Leopardi, il quale considerò amore e morte entrambi esperienze positive: l’amore provoca piacere, la morte annulla il dolore.
Va comunque sottolineata una distanza tra Pasolini e Dante riguardo l’amore, che nella forma carnale viene considerato imperfetto dal poeta fiorentino, mentre in Pasolini rappresenta una componente fondamentale. Ma questa è una riflessione che risponde all’essere uomo medievale di Dante, tanto che l’amore carnale viene paragonato all’amore per Dio, che aveva riconosciuto incontrando Piccarda Donati nel III canto del Paradiso, capace di rendere l’individuo totalità. La forte religiosità di Dante è palesata soprattutto dal fatto che egli, nella “Commedia”, non fa mai riferimento alla sua famiglia a eccezione di Cacciaguida, suo trisavolo, da lui considerato l’avo più prestigioso. Quest’ultimo infatti aveva perso la vita durante le crociate, per questo viene ricordato come eroe cristiano che si è sacrificato per difendere la fede. Perciò quello di Dante non è un amore di tipo erotico, ma basato sulla contemplazione di qualcosa di illimitato, incondizionato.
A unire Pasolini e Dante sono dunque il senso della vita e l’idea di un amore spregiudicato, miscredente, più forti di qualsiasi riferimento letterario. Pasolini si servì del pensiero di Dante per inseguire una purezza non solo di linguaggio ma di idee. Da lui comprese la sensibilità di essere un poeta civile e acquisì gli strumenti necessari per distinguere il bene e il male.
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