Quando la posta racconta la storia

Quattro comaschi scrivono un libro sullo sviluppo dei servizi postali dal 1395 al 1859. Ne esce un affresco storico e sociale della città corredato di cinquecento immagini

Un libro prezioso, soprattutto oggi che la corrispondenza si sta smaterializzando, cosa che purtroppo impedirà agli studiosi del futuro di produrre opere come questa. “Como. Le impronte della posta nella storia” (pagine 382, euro 45), curato da quattro appassionati e collezionisti lariani di diverse generazioni (Carlo Arrighi, Giovanni Carlo Colombo, Lorenzo Gilardi e Alberto Mingione), ci fa compire un viaggio nel tempo “dal Ducato di Milano all’Unità d’Italia: 1395 - 1859”. Il servizio postale e la sua evoluzione costituiscono il filo rosso che il lettore è invitato a seguire per scoprire molto di più: i fatti storici e i cambiamenti sociali che si sono susseguiti nei secoli. A rendere immaginifico e appassionante il viaggio contribuiscono le oltre 500 illustrazioni che scandiscono il volume cartonato, di per sé un oggetto prezioso, non a caso stampato in sole 300 copie numerate dalla Tipografia Banfi di Como.

Come un romanzo

Angelo Teruzzi, membro dell’Associazione Italiana di Storia Postale e delle più importanti società filateliche internazionali, sottolinea nella prefazione alcuni dei fatti e personaggi salienti che ci vengono presentati «come in un romanzo»: «Siamo coinvolti nelle avventure del “Corriere di Lindau” o della “barca corriera”, nei diversi fatti d’arme che impegnarono Napoleone e il generale Suvorov prima e il feldmaresciallo Radetzky e Garibaldi poi, passando attraverso una serie infinita di personaggi storici minori e di aneddoti su luoghi e situazioni connessi al territorio comasco».

«Il corriere di Lindò», come lo chiamavano a Milano, aggiungendo ironicamente che «va e viene quando può», evoca esperienze pionieristiche di trasporto non solo della posta, ma anche delle persone, decisive per l’economia e la cultura europee. Il servizio che collegava la cittadina tedesca di Lindau con il capoluogo lombardo (325 km di tratta) entrò in funzione nel 1322 e rimase attivo fino al 1826. Fu il primo a utilizzare il passo dello Spluga come porta d’accesso prediletta all’Italia per chi proveniva dal Centro e Nord Europa e contribuì in modo sostanziale a inserire il lago di Como nel circuito del Grand Tour. Assieme alla corrispondenza portò personaggi del calibro di Erasmo da Rotterdam (nel 1508) e Goethe (nel 1788).

Meno noto il servizio reso dalla “barca corriera” e anche dai piroscafi in funzione sul lago di Como. La prima, ci raccontano gli autori del libro, ebbe uno stretto collegamento proprio con il Corriere di Lindau. Quest’ultimo, infatti, «alla metà del ’700 [...] per raggiungere Como si imbarcava a nord del lago (a riva di Chiavenna sul lago di Mezzola) sulla “barca corriera”: si trattava di un’imbarcazione di proprietà di privata [...] capace di imbarcare quindici persone e una trentina di colli di merci». Nel 1754 intervenne un cambiamento importante: Francesco Casnati, commesso postale del Regio ufficio di Posta a Como, «chiese e ottenne di potersi valere della barca corriera anche per il trasporto della corrispondenza tra le varie località lacuali», e per di più «con diritto di privativa statale», ovvero sottraendo il servizio alla gestione dei privati.

Dai piroscafi ai treni

La barca corriera effettuava una corsa settimanale, il mercoledì, da Como a Riva di Chiavenna, con ritorno al sabato. Ma tra venti sfavorevoli e barcaioli che si concedevano soste troppo frequenti alle osterie (una delle innumerevoli curiosità che rafforzano il “lato umano” del libro), negli anni Venti dell’Ottocento fu progressivamente sostituita dai primi piroscafi a vapore, messi in acqua dalla Società Privilegiata di navigazione a partire dall’estate del 1826.

Il Risorgimento è appena cominciato, con i moti del 1821, ed è quando succede un Quarantotto”, anzi “il Quarantotto” per antonomasia, da cui è derivato il modo di dire, che le poste vivono uno dei loro momenti più gloriosi. La corrispondenza tra patrioti in Italia e in esilio all’estero diventa sempre più frenetica, anche se necessariamente “in codice” per non farsi scoprire dal nemico, e a velocizzarla ci pensa il treno. Nel 1849 viene annunciato con decreto l’utilizzo della I.R Privilegiata strada ferrata Milano-Como per il trasporto della corrispondenza e il 15 dicembre è attivato un nuovo ufficio postale nei pressi della stazione che allora costituiva il capolinea, ovvero Camerlata. A proposito del corredo di illustrazioni, nel volume se ne trovano alcune sia della stazione di Camerlata sia dei moti risorgimentali che attireranno la curiosità degli appassionati di treni e di storia. Proprio a Camerlata, in via Scalabrini, bisogna recarsi per vedere “il binario Radetzky”, così battezzato dai comaschi in “onore” del feldmaresciallo defunto pochi mesi prima, quando gli austriaci lo utilizzarono per scappare dopo la sconfitta rimediata nel 1859, anno che segna un decisivo passo avanti verso l'unità d’Italia e simbolicamente chiude il libro.

Ovviamente troveranno pane per i loro denti in primis i cultori della filatelia, grazie anche a una dettagliata documentazione dell’“anno mirabilis” 1850, quello in cui fu introdotto l’obbligo di affrancare le lettere (cioè di pagare la tassa postale), dando il “la” al collezionismo di francobolli. Ma è soprattutto l'amore per Como, il suo territorio e la sua storia, il tratto distintivo di questa pubblicazione. Ogni innovazione postale è l’occasione per raccontarci e mostrarci qualcosa della nostra città. In ogni capitolo si aprono riquadri di approfondimento su temi specifici che sono come finestre spalancate sul nostro passato. Per esempio, laddove si racconta degli spostamenti subiti nel tempo dall’Ufficio postale di Como, quello che siamo abituati a chiamare “Poste centrali” e che si trova in via Gallio “solo” dal 1925. Fino al 1832, scopriamo leggendo questo libro, ebbe sede in Contrada del Gesù, l’attuale via Tatti, zona nobile della città da quando nel ’500 vi erano stati costruiti il convento e il collegio frequentato anche da un certo Alessandro Volta. In seguito l’Ufficio si sposta in piazza del Vescovado, l’attuale piazza Grimoldi, con un distaccamento in piazza Cavour, in alcuni locali dell’ex albergo dell’Angelo, presso il porto dove la corrispondenza, come abbiamo visto, veniva imbarcata. Prima di uscire definitivamente dalla città murata, le Poste dal 1852 al 1925 avranno la loro sede principale in Contrada San Paolo, ovvero tra via Rovelli e via Diaz. Un peregrinare che è spia dei cambiamenti e ripensamenti del tessuto urbano.

Il volume è «frutto di quasi due anni di lavoro», raccontano gli autori, i quali hanno pienamente raggiunto l’obiettivo di «far rivivere fatti e personaggi grandi e piccoli, con un ampio respiro che va a legarsi sia a capitoli della storia cittadina e dei territori circostanti, sia più in generale di quella lombarda ed italiana». Molto presente nelle pagine il ruolo giocato dal confine italoelvetico, così come un prezioso corredo di lettere, affrancature ed altri documenti postali di uso quotidiano. «Per la prima volta - sottolineano ancora con orgoglio i curatori - un’opera raccoglie una documentazione locale tanto estesa ed eterogenea, spesso inedita e di notevole rarità, documentando inoltre tutte le impronte postali utilizzate nella città nel periodo trattato»

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