Cure palliative, un modello globale: al centro la qualità della vita

Di cosa parliamo Luca Moroni, presidente del coordinamento regionale: «È cambiata la tipologia del bisogno di salute e la richiesta di prestazioni»

Mettere al centro la qualità della vita in ogni suo tratto e allargare questo modello di cura globale a una platea sempre più ampia di persone, oltre la terminalità.

Luca Moroni, presidente del coordinamento cure palliative di Regione Lombardia, ne è convinto: le cure palliative stanno vivendo un cambiamento strutturale che va di pari passo con quello della società in cui si realizzano, accordandosi con i nuovi bisogni, delineati negli ultimi decenni.

La sfida

«Il futuro delle cure palliative, che poi è la sfida di chi è impegnato in questo settore, è di rappresentare un modello di cura applicabile non solo a chi vive una fase terminale della sua esistenza, ma a tutti coloro che convivono con una patologia cronica o con una condizione in cui non è possibile guarire. In Italia quello che è veramente cambiato è proprio la tipologia del bisogno di salute e della richiesta di prestazioni sanitarie».

Moroni allarga lo sguardo: «In un sistema sanitario costruito per curare i malati nella fase acuta, si è assistito all’invecchiamento della popolazione e, come contropartita, al fatto che si diffondessero sempre più patologie croniche che riguardano persone che sono destinate a convivere con una malattia che non può essere risolta».

È necessario lavorare verso un sistema integrato in cui le cure palliative siano competenze specifiche dei medici, ma anche trasversali a più specialità. «In Lombardia il sistema delle cure palliative in hospice e a domicilio è più performante che in altre regioni italiane. L’obiettivo è renderle ancora più flessibili, inclusive e condivise; fare in modo che siano parte integrante del modello organizzativo della nostra sanità. In altre parole i capisaldi delle cure palliative, ovvero la modalità di accompagnamento del malato e la tutela della qualità della sua vita dovranno essere allargate al modello di operare dei medici di base e di chi lavora nei reparti ospedalieri, come nelle residenze sanitarie per anziani o nelle strutture per disabili».

Il motore chiave di questo cambiamento è l’Università, perché è da lì, dalla ricerca, che si può investire in formazione e nella creazione di nuove professionalità. «In Europa è evidente che la ricerca accademica abbia dato grande impulso allo sviluppo delle cure palliative. In Italia siamo in ritardo, solo da due anni è stata riconosciuta una specializzazione medica ad hoc. Storicamente nel nostro paese conviviamo con una carenza di medici, ma gli hospice e i servizi di cure palliative domiciliari ne stanno soffrendo in maniera particolare. Ci vuole uno sforzo per coinvolgere anche altre branche della medicina affinché la competenza palliativista diventi una competenza trasversale e si integri con le altre discipline che potenzialmente possono fare da cassa di risonanza». Le cure palliative secondo Moroni sono quasi un termometro della profonda e rapida trasformazione della nostra cultura. «Hanno sfatato il mito di una medicina onnipotente. Si prendono in carico la qualità di vita di una persona e quindi si occupano degli aspetti della valorizzazione della soggettività, della sua personalità, dei suoi bisogni, della sua autodeterminazione che sono dei principi che diventano estremamente importanti, legati a temi come il testamento biologico e il consenso informato. Per un malato cronico l’obiettivo va oltre la somministrazione della terapia e diventa la garanzia di una qualità della vita dignitosa, in cui la soggettività è tutto, anche nell’impostazione del trattamento che non può essere più quello standard per chiunque».

Il futuro

Senza il volontariato le cure palliative non esisterebbero: «Sono stati il volontariato e il terzo settore a creare il tessuto, le condizioni, affinché le cure palliative si insediassero. In Italia oggi si sono insediate a macchia di leopardo. I volontari sono capaci di rispondere a bisogni diversi, ma complementari, rispetto a quelli degli operatori sanitari, sono parte integrante dell’équipe di cure palliative. Ma un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura delle cure palliative lo svolge anche una comunità solidale e inclusiva. Il volontariato fa da ponte tra il malato, la sua famiglia, e la comunità: questo è un regalo enorme per tutti noi».

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