“Hikikomori”: la solitudine dei dimenticati

Noi e gli altri Un nuovo video del progetto “Sostare”, per una sindrome che colpisce giovani tra i 14 e i 30 anni

«Hiki?» «Komori!» Lo scambio di parole con cui si apre la terza puntata della serie video “Occhio a” porta il giovanissimo presentatore ad alzarsi e lasciare la schermata vuota per la mal riuscita battuta. Un momento di ironia che serve a spezzare il ghiaccio prima di inoltrarsi nel tema che è forse il più difficile tra quelli trattati dai ragazzi del progetto “Sostare”, organizzato dal centro diurno della comunità comasca per minori Annunciata.

Una serie video, appunto, che funge da vera e propria educazione al digitale, segnalando i pericoli del web a ragazzi e genitori, per creare consapevolezza e dibattito. Tocca alla sindrome di hikikomori, questa volta, che colpisce in Italia tra i 54mila e i 100mila ragazzi, nell’80% dei casi maschi, tra i 14 e i 30 anni. La parola hikikomori viene dal giapponese e significa “ritirarsi”, indicando infatti quella condizione che porta le persone, soprattutto in età adolescenziale, a rinchiudersi volontariamente nella propria camera per non uscirne più. Un fenomeno iniziato in Giappone - dove si stima che ci siano un milione di hikikomori - e arrivato fino in Italia. «Ma siccome gli hikikomori si chiudono in camera e spariscono, di loro si parla pochissimo in Italia» spiega però il giovane presentatore dei video di “Occhio a”. «In questi casi si passa da un primo livello di ritiro sociale, all’isolamento sociale con inversione anche del giorno e della notte e infine si arriva al rifiuto sociale, quando non si esce dalla propria camera nemmeno per mangiare o per andare in bagno. Per questi ragazzi la loro passione diventa il centro di tutto, l’unica casa che sentono di avere».

Nel video realizzato dai ragazzi del centro diurno non mancano i consigli per gli adolescenti che sentono di vivere situazioni simili a quelle raccontate e per i loro genitori. A parlare è anche Gabriele Barreca, psicologo, che ha seguito come educatore il progetto dell’Annunciata e ha poi approfondito per le pagine di Diogene il tema trattato nel video: «Il tema hikikomori tocca molto da vicino i ragazzi del centro educativo. Si arriva a temere situazioni di questo genere quando le relazioni sociali e famigliari dei ragazzi si fanno fragili, anche quelle principali».

Secondo lo psicologo per intercettare la sindrome hikikomori in tempo sono essenziali figure adulte capaci di intercettare i bisogni degli adolescenti: «La neuropsichiatria ci manda adolescenti in ritiro sociale o con disturbi alimentari o ancora autolesionismo: questo accade perché oggi la fragilità non si esprime più verso l’esterno, ma verso l’interno, contro sé stessi. Noi cerchiamo di intercettare i loro bisogni con tre modalità: l’educazione alle emozioni, l’educazione al digitale e l’individuazione di parole chiare».

Parole come “accogliere”, senza porsi nei confronti degli adolescenti come superuomini, ma anche “stanare” e cioè portare alla luce situazioni difficili, e infine “condividere”, dividendo le proprie fragilità con gli altri. E riaprire le porte di quelle camere chiuse, per ripartire dal dialogo.

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