
Diogene / Como città
Martedì 13 Maggio 2025
Illustratore giudiziario a tu per tu con i detenuti: «Disegno i processi, ma a caccia di emozioni»
La storia Andrea Spinelli illustratore giudiziario, racconta ai detenuti del Bassone il suo lavoro da poco nato in Italia
In una stanza del carcere di Como, una quindicina di persone guardano un uomo impegnato a disegnarli. Lui è Andrea Spinelli, il suo lavoro, fino a due anni fa non esisteva in Italia e chi oggi lo incontra gli chiede: «Ah, come nei film americani?». Perché proprio come nei film americani Andrea lavora nelle aule di tribunale, dove storie umane si intrecciano, si feriscono e giungono a svolte determinanti, e le disegna.
Una professione nuova
Anche qui, al Bassone, è andata così. Andrea è stato ospite all’interno del Centro stampa che è il nome di un luogo all’interno del carcere capace di far sentire chi lo frequenta lontano dalle celle. Il Centro Stampa è gestito dalla società cooperativa Homo Faber, nata nel 2007 con l’obiettivo di dare ai detenuti un’opportunità di recupero personale e un’occasione di formazione e di sviluppo professionale. «Disegno per professione da un po’ di tempo - ha raccontato Spinelli al gruppo di detenuti che si è riunito per incontrarlo, insieme Patrizia Colombo e Gloria Simone di Homo Faber - Prima mi occupavo di concerti ed eventi aziendali, soprattutto. Poi per curiosità ho deciso di iniziare a farlo anche nei tribunali».
Un passaggio che non è stato immediato, ma ha richiesto un passaggio intermedio con il tribunale di Milano. Spinelli ha raccontato che la reazione del presidente del tribunale meneghino, Fabio Roia, è stata del tutto inaspettata: «Era entusiasta e così nel settembre del 2022 ho seguito il mio primo processo nelle vesti di illustratore giudiziario. Fino a quel momento il mio lavoro in Italia non esisteva». La domanda sulla sua professione da parte di uno dei detenuti non ha tardato ad arrivare: «Qual è il senso di quello che fai?». E così il racconto di Spinelli si è spostato dall’Italia agli Stati Uniti e dal presente a un processo della seconda metà del ’600, il processo alle streghe di Salem in Massachusetts nel 1692. «Poi anche in seguito e in particolare negli anni ’30 del secolo scorso negli Stati Uniti ci furono processi molto mediatici in cui fu vietato l’ingresso alle telecamere - ha spiegato Spinelli - Lì il ruolo dell’illustratore fu fondamentale per far sapere a chi non era potuto entrare nell’aula cosa fosse accaduto».
«Un’arte gentile»
Ma, come è emerso durante la chiacchierata, il suo lavoro non si limita a fornire una testimonianza di ciò che non può essere fotografato, ripreso o addirittura visto con i propri occhi. «Il presidente del tribunale di Milano ha definito quello che faccio “un’arte gentile” - ha raccontato Spinelli ai detenuti del Centro Stampa - L’immagine fotografica è molto diretta, cruda a volte, può capitare che leda la dignità, mentre io posso operare delle scelte per questioni di riserbo».Così capita che nei disegni di Spinelli manchino alcuni dettagli che potrebbero portare all’identificazione di una persona che sceglie di non essere riconosciuta, come gli occhi. E alla domanda ripetuta più volte dal gruppo che si è riunito per incontrarlo - «Ma cosa ti colpisce di più in un processo?» - la risposta per Spinelli è stata sicura: le emozioni. «Nelle aule giudiziarie ho visto tantissima umanità - ha spiegato - Dall’esterno possono sembrare luoghi e contesti freddi, ma non è affatto così. Lavoro spesso in Corte d’Assise e quindi seguo processi che riguardano fatti di sangue, alcuni molto noti al pubblico esterno, altri meno... ricordo questa giudice popolare che ho ritratto e ho cercato nel mio disegno di catturare un particolare che mi diceva molto di lei: mentre seguiva il processo, che riguardava un caso molto duro e difficile, continuava a stringersi nervosamente il polso». E poi ancora la foga degli avvocati, le espressioni di rabbia e il senso di ingiustizia che si legge negli occhi di alcuni imputati o di familiari delle vittime. Un’altra curiosità sorta tra i detenuti è stata relativa al “pregiudizio” cui Spinelli potrebbe essere soggetto prima di entrare in un’aula: «Quanto sai dei processi che segui e quanto questo ti influenza?».
«Leggo le notizie - ha ammesso Spinelli, che ha spiegato anche come il suo lavoro venga spesso pubblicato su alcune testate giornalistiche che però l’illustratore sceglie accuratamente in base al modo in cui quelle stesse testate raccontano i processi - Poi però sono nella situazione. Il giudizio emotivo ci può essere, ma mi interessa capire, osservare, più che giudicare. Non mi interesso del concetto di innocenza o colpevolezza. Quello che cerco e che voglio poi restituire sono solo le storie umane». Una risposta accolta con gratitudine da chi, all’interno del carcere, cerca di comunicare la propria storia umana al mondo esterno.
Fino al 23 maggio, dalle 9 alle 14, è possibile visitare la mostra di Andrea Spinelli presso il Tribunale di Milano.
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