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Martedì 30 Settembre 2025
La storia di Sofia. E di un test che poteva salvarla
Malattie rare Aveva 8 anni, morì di leucodistrofia. Il racconto della fisioterapista che le è stata accanto. «Oggi mi batto perché non accada mai più»
Como
La leucodistrofia metacromatica può essere diagnostica alla nascita grazie a un semplice test e sconfitta durante l’infanzia da un farmaco, pochi ospedali però eseguono gli screening. La piccola Sofia prima della pandemia se n’è andata a soli otto anni dopo averne combattuti sette contro una patologia neuro degenerativa rara che se non individuata dopo il parto non lascia scampo. Al suo capezzale, all’ospedale Meyer di Firenze, c’era la fisioterapista comasca Barbara Vanoli.
«Ricordo bene Sofia. Appena diagnosticata la leucodistrofia era una piccola sana e in perfetta condizioni – racconta Barbara –. In breve però questa malattia l’ha consumata, trasfigurata. Purtroppo pochi punti nascita degli ospedali effettuano a tutti i neonati lo screening, un banale esame del sangue. Sono esattamente solo 17 i reparti Materno infantili lombardi a prevedere questa misura sui 72 totali, a Como lo fa il Valduce e non per esempio il Sant’Anna. Se diagnosticata la leucodistrofia può essere curata attraverso una terapia in uso per esempio in alcuni centri di Milano. Questa disparità credo sia ingiusta. Si tratta di un male che procura una sofferenza indicibile e che porta alla morte, come successo a Sofia. E’ assurdo, è una dovere evitare questa devastazione a dei bambini e alle loro famiglie».
I genitori di Sofia, Guido e Caterina, ignari portatori sani della leucodistrofia, pur distrutti dal dolore, hanno avuto la forza di creare una onlus che si batte in tutta Italia per l’introduzione dello screening nei centri neonatali. Le cure nel frattempo hanno fatto passi avanti importanti anche grazie alle donazioni a favore della ricerca scientifica, un primo progetto pilota è partito anche in Lombardia e se ne attende l’estensione. La leucodistrofia metacromatica non trattata consuma la mielina, la guaina midollare delle fibre nervose, producendo una progressiva e rapida degenerazione delle capacità motorie e cognitive, fino all’esito infausto. Una patologia subdola, che si manifesta a scoppio ritardato intorno all’anno e mezzo di vita e che, dal momento della comparsa dei sintomi, galoppa rapidissima, in pochi anni, fino alla morte, impedendo ai piccoli pazienti perfino di respirare.
«Prego tutti di non abbandonare questa causa – dice ancora Barbara Vanoli –, ho conosciuto professionalmente questo dolore e non mi stancherò di battermi a fianco delle famiglie. Perché altre, dopo quella di Sofia, hanno patito questo strazio. Tragiche perdite evitabili». Sono state diverse le campagne di sensibilizzazione avviate sul tema dalle associazioni genitori, per raccogliere fondi, coinvolgere la cittadinanza, sensibilizzare pediatri e ospedalieri.
Gli screening però non vengono ancora eseguiti a tappeto per questa malattia che rientra nella categoria delle patologie rare. L’incidenza - 1,1 caso ogni 100mila nati vivi secondo le statistiche mediche testate nell’area europea - riconducono questo male ai tanti che sono ancora marginalizzati perché troppo poco frequenti. Eppure, tutte sommate, le malattie rare interessano in maniera cronica 6.700 comaschi, una platea calcolata dagli ultimi report dell’Ats Insubria. La stima, più al ribasso e vicina ai 4.300 casi secondo gli specialisti dell’Asst Lariana, riguarda comunque una media di sei pazienti minorenni per ogni pediatra operante in provincia e di sette persone adulte per ogni medico di medicina generale.
A battersi per il riconoscimento dello screening neonatale della leucodistrofia metacromatica è l’associazione Voa Voa, sostenuta soprattutto da mamme e papà. Il gruppo, nato dopo la tragica storia di Sofia, offre oggi assistenza socio sanitaria e psicologica alle famiglie coinvolte, ma anche consulenza legale e sostegno economico, aperte le porte anche alle storie difficili causate da altre patologie rare nell’età pediatrica. Tra gli obiettivi la raccolta fondi per la ricerca scientifica, le campagne di sensibilizzazione e più in generale la cultura dell’inclusione.
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