Violenza di genere: un problema che arriva da lontano. Storie dal manicomio di Como

Tra presente e passato Racconti che hanno preso vita nei corridoi dell’ex manicomio San Martino raccolte nelle oltre 42mila cartelle dell’archivio storico

«Vai a dire al mondo che esisto anche ». Caterina salutò così Marco, il suo ragazzo. Lui era andato a trovarla un Natale di tanti anni fa a Villa Aurora sulla strada per Monte Olimpino, la struttura psichiatrica dov’era ricoverata. Disse queste parole pensando a se stessa. La sua però era anche la voce che dal 1882 si rincorreva nelle stanze dell’ex manicomio San Martino, la voce di Rossella, di Carolina, di Odette, di Barbara e di tante donne le cui storie per troppo tempo si era cercato di negare.

Violenze di ieri e di oggi

«Vai a dire al mondo che esisto anche io» lo hanno “urlato” in corteo le tantissime donne scese in piazza il 25 novembre per la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne. La voce ieri di Caterina è la stessa voce oggi di Giulia Cecchettin che ha lottato per non essere cancellata dall’uomo che l’ha uccisa. È la voce di sua sorella Elena che ha parlato di femminicidio come di un delitto di Stato, è la voce di chi non accetta che le donne siano messe a tacere in ogni tempo e in tutti i luoghi in cui vogliono vivere, amare e realizzarsi.

Proprio togliere la voce è il primo passo per isolare e uccidere una donna. La violenza è sempre violenza. In manicomio come fuori, in strada, a scuola, nei luoghi di lavoro, in famiglia. E le responsabilità del patriarcato negli omicidi e nelle cancellazioni delle donne affondano le radici in memorie antiche, culturali, nelle viscere di questa società. Lo raccontano le oltre 42mila cartelle dell’archivio storico del San Martino dove abuso e sopruso hanno soprattutto un volto di donna.

“Mentecatte femmine” riportano le cartelle cliniche più datate. Lo scrittore e poeta Mauro Fogliaresi ha sfogliato i documenti, incontrando donne che non ha mai più dimenticato.

«Molte erano solo emancipate, indipendenti, volevano essere libere – racconta – un motivo sufficiente allora perché un marito chiedesse al sindaco di internarle. Troppo libertine, poco propense al ruolo di moglie, di madre o persino capaci di aver osato ribellarsi alle violenze domestiche. Ecco alcune delle donne finite in manicomio, “errori di fabbrica” per la società. Basti pensare che fino al 1968 l’adulterio era considerato un reato capace di farti finire in una struttura per malati mentali».

Gli aggettivi scelti per raccontare i sintomi di queste donne, spesso indigenti, a volte vittime di traumi o abusi, o semplicemente che non volevano adeguarsi alla morale del tempo, parlano da sè: “Loquace, euforica, lasciva, smorfiosa, impertinente, piacente”. «Noi siamo nelle persone che ci portiamo dentro – continua Fogliaresi – È incredibile come esista una circolarità della storia trasversale alle donne. Il cerchio lega il manicomio di Como ai giorni nostri, gli internamenti delle donne che avvenivano già dal 1882 ai femminicidi di cui è piena la cronaca, con tutte le diversità che possono esserci state. Ora siamo qui a parlare di violenza sulle donne, di una contemporaneità che però arriva da lontano».

Il valore della memoria

Senza memoria non c’è bellezza e solo facendo memoria di queste donne si può salvare la loro bellezza dall’oblio. «Ci sono storie che mi hanno attraversato. Da maschio non parlo di queste donne, sono loro che hanno parlato attraverso me, ho cercato di raccoglierne la memoria e conservarne la poesia».

La storia dell’ex manicomio di Como non è solo la storia delle pazienti, ma anche delle donne che hanno avuto accanto come infermiere, compagne, sorelle e che si sono prese cura di loro. La storia delle donne che hanno lavorato con impegno alla dismissione del San Martino per fare entrare la città in un luogo fino a quel momento nascosto. Ne hanno spalancato le porte perché le voci delle donne rinchiuse lì andassero finalmente libere per il mondo. Senza paura però.

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