In Svizzera si punta al turismo senza stagioni: una sfida che si può vincere

Intervista “Destagionalizzare” l’offerta, senza cioè limitarsi all’estate, nonostante le pesanti ripercussioni del caro energia. L’analisi e le previsioni di Daniel N. Barr, managing director della società svizzera del lusso Swiss Diamond Group

Destagionalizzazione dell’offerta e della proposta turistica, rincari energetici (sotto costante osservazione da qui ai mesi a venire), frontalieri.

Temi di stretta attualità su cui “Frontiera” ha intavolato una riflessione ad ampio spettro con una figura di primissimo ordine del management turistico internazionale, Daniel N. Barr, managing director di Swiss Diamond Group, società di hotel management internazionale che opera nel settore dell’ospitalità di lusso, di cui fa parte anche lo Swiss Diamond Hotel, il cinque stelle lusso di Vico Morcote affacciato sul Ceresio e tra i simboli dell’hotellerie ticinese e svizzera.

Al netto di una crisi energetica che si sta facendo sempre più pesante e pressante, al di qua del confine si sta cercando di tornare a scommettere sulla destagionalizzazione. Come giudica questa sfida dell’apertura di un numero sempre maggiore di hotel lunga 10-11 mesi?

«La destagionalizzazione è una delle caratteristiche del nostro settore. La concentrazione dei flussi rappresenta talvolta un problema per la destinazione e, di conseguenza, anche per l’albergo. Siamo per diretta conseguenza a volte costretti ad offrire formule diverse durante i mesi di bassa, media, ma anche alta stagione, con offerte diversificate spinte da promozioni connesse al marketing che passano anche attraverso web e social, con strategie tariffarie diversificate e con un occhio attento al tema della sostenibilità ambientale. Dinamiche queste non semplici in un periodo così particolare».

Quanto sta incidendo la crisi energetica sui mesi a venire ed in particolare su quelle strutture che cercano di sfruttare appieno le potenzialità dell’inverno? Sempre su questo lato del confine ci sono alberghi che dopo l’euforia primaverile hanno deciso di compiere un passo indietro e rinunciare all’apertura invernale, sotto i colpi di fatture di elettricità e gas triplicate. E’ una crisi che può espandersi a macchia d’olio?

«Cito il caso dello Swiss Diamond, un hotel che storicamente non ha mai chiuso durante i mesi invernali. Rimane aperto dodici mesi l’anno. Al momento non ci sono segnali contrari. Andremo avanti con l’apertura, gestendo le diverse situazioni man mano che richiederanno di essere affrontate».

Che stagione è stata per il Ticino - per restare alla realtà a noi speculare - dopo il biennio da record (il riferimento è principalmente ai mesi estivi) segnato dalla pandemia? E che autunno prevede?

«Parlando di numeri, il Canton Ticino nel 2019, l’ultimo anno pre-pandemia, ha registrato 2,3 milioni di pernottamenti. La previsione per l’anno in corso è di arrivare a 2,6 milioni di pernottamenti. Il che significa che rispetto allo scorso anno, che si è chiuso con 2 milioni 900 mila pernottamenti, c’è una lieve flessione, anche se il dato globale resta superiore al pre-pandemia. E’ chiaro che rispetto al biennio 2020-2021, si sono innestate nuove dinamiche, a cominciare dalla riapertura totale delle frontiere».

C’è un filo conduttore che lega gli hotel a cinque stelle sui due lati del confine? Como, per inciso, vanta una tradizione secolare quanto a cinque stelle.

«L’anello di congiunzione è rappresentato dalla conoscenza diretta dei colleghi e delle rispettive strutture. Conoscenza che si è consolidata nel corso degli anni».

Nell’anno in corso che per molti ha rappresentato la rinascita dopo il biennio contrassegnato dalla pandemia e da numerose incertezze per il futuro si è notato il ritorno di qualche mercato storico per il turismo ticinese?

«Per il Canton Ticino - e lo dico con il conforto dei numeri - il mercato interno resta quello più importante. Mi riferisco agli ospiti che provengono dalla Svizzera tedesca e dai Cantoni romandi. Peraltro questi due mercati hanno garantito i numeri citato poc’anzi durante lo scorso biennio, quando il Ticino si è imposto come destinazione turistica a livello federale».

Un altro tema di stretta attualità è rappresentato dal numero di frontalieri (+12,8% l’incremento su base annua certificato dall’Ufficio federale di Statistica) occupati nell’hotellerie e nella ristorazione ticinese. Numero che non ha conosciuto flessioni neppure nel biennio scorso, al netto dei mesi in cui le restrizioni avevano colpito questo storico comparto. Quanto è importante la manodopera frontaliera?

«Ginevra e il Ticino garantiscono l’occupazione di quasi la metà della manodopera frontaliera. L’ultimo dato fornito dall’Ufficio federale di Statistica ha certificato in Ticino un consolidamento del numero dei frontalieri occupati, ormai vicini a quota 76 mila. Ed è chiaro che in queste dinamiche i territori di confine come il vostro o come la provincia di Varese o come il Verbano Cusio Ossola rappresentano un riferimento importante. I frontalieri italiani, per il nostro settore turistico, rappresentano una presenza non solo numericamente importante, ma fondamentale per mantenere l’attuale standard d’eccellenza che caratterizza gli alberghi a cinque stelle».

Si possono già abbozzare previsioni per la prossima stagione turistica?

«E’ chiaro che molto dipende da come evolverà la situazione in Ucraina. E’ lì che oggi sono puntati i riflettori. Con questo, non posso che rimarcare il fatto che la mancanza di turisti russi ha rappresentato un elemento fortemente negativo e significativo per il turismo a cinque stelle».

Il vostro è un gruppo in continua espansione. Si parla di progetti in fase di realizzazione in Svizzera e così a Ulan Bator in Mongolia e in Kazakistan. C’è grande voglia di ripartire dunque, dopo la pandemia, pur a fronte delle attuali incertezze internazionali.

«Il concetto di fondo è che più destinazioni si hanno e meglio è. Tali destinazioni vanno però selezionate con cura e attenzione, con un altro dettaglio di rilievo e cioè che ci sia un filo conduttore tra le varie strutture. La nostra visione del settore prevede una continua ricerca di funzionalità ed un costante miglioramento degli standard qualitativi dei servizi che offriamo ai nostri ospiti».

Sul lago di Como, ma anche in altri territori di confine a dire il vero, sta ormai prendendo forma il tema del dover “ancorare” - o meglio fidelizzare - i dipendenti al posto di lavoro. E questo perché la Svizzera rappresenta oggi un richiamo irresistibile, in primis dal punto di vista economico. Come giudica queste dinamiche?

«Credo rientrino nelle normali leggi di mercato, pur confermando che i rapporti di confine esistono e sono buoni. Queste dinamiche avvengono qui come altrove, quando di mezzo c’è una linea di confine, con peculiarità diverse su ciascuno dei due lati del confine medesimo».

Quanto la politica può aiutare il vostro settore?

«Il turismo è molto importante per il Paese di riferimento. Il discorso vale per la Svizzera, come per numerosi altri Stati. Il turismo significa punti percentuali di Pil, occupazione, marketing, immagine. Forse non è considerato sino in fondo come meriterebbe. Senza contare la destinazione turistica permette di conoscere le bellezze, le abitudini, la cultura, la storia di ciascun Paese, riportando poi con sé un po’ di questa esperienza».

L’evoluzione della crisi ucraina dunque rappresenta il barometro per i mesi a venire. A questo delicato scenario internazionale, si aggiunge poi il rincaro dell’energia elettrica e del gas. Un quadro non proprio rassicurante, dunque?

«Di sicuro, molto dipenderà anche per il nostro settore dalla durata e dall’intensità del conflitto ucraino. Se non si arriva a una soluzione ragionata in tempi celeri, credo che ragionevolmente bisognerà affrontare il tema del contenimento dei costi».

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