Giovani e risorse idriche. Quante sfide per l’agricoltura

L’imprenditore Matteo Pagliarani rieletto alla vicepresidenza del Consiglio europeo dei giovani agricoltori (Ceja). «Siamo in un momento cruciale di transizione. Il primo tema sul tavolo è la Strategia per il ricambio generazionale»

Rappresenta l’Italia al Consiglio Ue dei giovani agricoltori: Matteo Pagliarani, imprenditore agricolo è stato rieletto alla vicepresidenza del Consiglio europeo dei giovani agricoltori (Ceja) per il mandato 2025-2027.

In questo periodo è in via di definizione la politica agricola comune post 2027 che vede, su proposta della Commissione europea, una riduzione dei finanziamenti e un fondo unico che accorpa le risorse della Pac con altri programmi europei.

In cosa consiste l’attività del Ceja a Bruxelles e quale importanza riveste per le imprese agricole lombarde?

Il Consiglio europeo dei giovani agricoltori rappresenta 33 organizzazioni provenienti da 27 paesi membri. È, a tutti gli effetti, una lobby agricola che si interfaccia con la Commissione europea e con le principali istituzioni dell’Unione, in particolare con la Commissione agricoltura, ma anche con quelle che si occupano di salute, ambiente, bilancio, benessere animale e tutela dei consumatori. L’agricoltura, oggi, è un settore trasversale che tocca molte altre politiche comunitarie, dalla gestione delle acque alla sostenibilità ambientale. Il nostro compito è portare a Bruxelles la voce dei giovani agricoltori europei e difendere le loro esigenze in un contesto legislativo complesso. In Italia la rappresentanza dei giovani è affidata alle principali organizzazioni agricole, Coldiretti Giovani, Confagricoltura Giovani e Cia, e il mio mandato, giunto al terzo anno, nasce proprio con l’obiettivo di dare forza e coerenza alla presenza italiana all’interno del Ceja.

Quali sono, oggi, le questioni europee più rilevanti per il futuro delle aziende agricole lombarde?

Siamo in un momento cruciale di transizione. Il primo tema sul tavolo è la Strategia per il ricambio generazionale, pubblicata il 21 ottobre dal commissario Janusz Wojciechowski: un documento importante che riconosce finalmente la necessità di favorire l’ingresso dei giovani nell’agricoltura. Il secondo grande dossier riguarda la nuova Politica agricola comune, che nei prossimi due anni verrà ridisegnata e che, purtroppo, ha già subito una riduzione del 20% nel quadro finanziario pluriennale dell’Unione. Un taglio che preoccupa molto, perché la Pac rimane lo strumento principale per sostenere gli investimenti e la competitività delle aziende. Il terzo tema è quello delle risorse idriche. La gestione dell’acqua, anche attraverso la Water Framework Directive, sarà decisiva nei prossimi anni. La Lombardia ha sempre fatto scuola nella regolazione delle acque, ma la sfida si fa più complessa con i cambiamenti climatici. A questo si aggiunge la questione dei nitrati, che tocca direttamente le aree a forte concentrazione zootecnica come la Pianura Padana. Alcuni Stati membri hanno già dovuto ridurre drasticamente il numero di capi nelle stalle e auspichiamo che le future direttive europee non mettano in difficoltà anche l’allevamento italiano.

Molti osservatori notano un rinnovato interesse dei giovani verso l’agricoltura, è una tendenza reale o solo episodica?

Sì, ci sono segnali di un aumento dei giovani imprenditori agricoli, ma con forti differenze territoriali. In Europa i giovani sotto i quarant’anni rappresentano appena il 20% del totale degli agricoltori; tra le donne la quota scende addirittura al 12%. È un dato allarmante. Negli ultimi anni abbiamo visto nascere esperienze interessanti, anche di ritorno alla terra, ma rimane difficile trasformare queste iniziative in imprese stabili e competitive. Il nostro obiettivo, come Ceja, è duplice: da un lato favorire la nascita di nuove aziende, dall’altro far sì che chi inizia possa vivere del proprio lavoro, garantendo una redditività sufficiente per sé e per la famiglia. L’agricoltura non può essere solo passione o missione ambientale: deve essere un mestiere sostenibile anche dal punto di vista economico.

I fondi europei sono però in calo, come si concilia questa contraddizione?

È proprio questo il problema. Nella nuova programmazione post 2027 il taglio del 20% alla Pac è un segnale che ci preoccupa molto. Se vogliamo un’agricoltura innovativa, competitiva e in grado di attrarre giovani, servono risorse adeguate. Negli ultimi trent’anni i finanziamenti comunitari sono progressivamente diminuiti, mentre i costi di produzione e gli oneri burocratici sono aumentati. È una tendenza da invertire. L’agricoltura 4.0, la gestione digitale delle colture, la sensoristica e la robotica sono strumenti straordinari per migliorare efficienza e sostenibilità, ma richiedono investimenti. Senza un adeguato sostegno pubblico rischiamo davvero di creare un divario tra chi può permettersi di innovare e chi no.

Innovazione, digitalizzazione, sostenibilità: tre parole chiave anche per il futuro lombardo?

La transizione tecnologica è già in corso. Penso ai sistemi di mungitura automatizzata, al monitoraggio da remoto delle colture o alla gestione digitale dei dati aziendali. Ma innovare significa anche imparare a gestire meglio il rischio, tema sempre più centrale. Negli ultimi anni l’agricoltura europea è diventata più esposta a fattori esterni: crisi climatiche, fluttuazioni dei mercati globali, nuove fitopatie o parassiti alieni. Serve una politica che favorisca strumenti assicurativi e di prevenzione, in grado di tutelare la produzione e la redditività aziendale. Oggi un giovane che voglia avviare un’impresa agricola da zero si scontra con costi altissimi, difficoltà di accesso al credito e alla terra. Occorrono garanzie, fiducia e meccanismi di sostegno più semplici e trasparenti.

C’è quindi anche un problema di burocrazia e di mercato?

Sì, entrambi. Sul fronte del mercato è essenziale ristabilire un equilibrio lungo la filiera: troppo spesso i costi di produzione superano i prezzi di vendita e questo rende insostenibile il lavoro agricolo. Dal punto di vista burocratico, invece, le procedure restano complesse, soprattutto per chi è alle prime armi. Accedere ai fondi o a un mutuo agricolo è ancora un percorso a ostacoli. Eppure, se vogliamo davvero un ricambio generazionale, dobbiamo rendere più agevole la nascita di nuove aziende, anche in aree rurali e interne. L’agricoltura non può concentrarsi solo nei grandi poli produttivi: serve un ritorno alla terra diffuso, un ritorno legato ai territori.

La nuova strategia europea per il ricambio generazionale costituisce un passo avanti concreto o solo un indirizzo politico?

È un segnale importante, ma resta incompleto. Il documento individua priorità e strumenti, ma non prevede budget vincolanti. Si tratta, in sostanza, di raccomandazioni rivolte agli Stati membri, che restano liberi di allocare o meno le risorse necessarie. Per questo dico che siamo soddisfatti a metà: l’Unione riconosce la sfida, ma non la sostiene fino in fondo. Servirebbero fondi obbligatori dedicati ai giovani agricoltori, alla formazione e allo sviluppo rurale. Altrimenti le strategie restano belle parole, ma prive di gambe.

Qual è il messaggio che da Bruxelles è rivolto agli agricoltori lombardi?

Direi che il futuro si giocherà su tre fronti. Il primo è la sostenibilità economica, perché senza redditività nessuna azienda può resistere. Il secondo è l’innovazione, che deve essere accessibile anche alle imprese di piccole dimensioni. Il terzo è il ricambio generazionale, che non può più essere solo un auspicio ma una priorità concreta, sostenuta da politiche e fondi dedicati. L’agricoltura lombarda è tra le più avanzate d’Europa, ma per restare competitiva ha bisogno di un’Europa che creda davvero nei suoi giovani. Solo così il settore potrà continuare a produrre, innovare e garantire futuro alle nostre comunità rurali.

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