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Lunedì 27 Ottobre 2025
Il valore dell’artigianato. Motore dello slow luxury
La style coach Carla Gozzi, protagonista alla Mostra Mercato, a Lariofiere dal 30 ottobre al 3 novembre. «Cresce il mercato del “fatto su misura”: la qualità e la cura del prodotto prevalgono sui consumi di massa»
Privilegiare capi e oggetti di qualità, imparare a comunicare chi siamo attraverso un outfit coerente e in armonia con il contesto in cui lavoriamo, senza dimenticare che la buona educazione non passa mai di moda.
La style coach Carla Gozzi, volto noto della televisione e punto di riferimento nel mondo dello stile e della consulenza d’immagine, sarà ospite alla Moma - Mostra Mercato Artigianato di Lariofiere venerdì 31 ottobre alle 18. In occasione dell’incontro “Dress to Lead - Stile, identità e galateo nel business”, approfondirà il tema di come costruire un’immagine visiva coerente con il proprio stile personale, capace di comunicare professionalità e autenticità anche nel contesto lavorativo.
Nel corso del suo intervento, offrirà inoltre pillole di galateo contemporaneo, spaziando dalle presentazioni professionali all’uso appropriato del cellulare, fino ai piccoli gesti quotidiani che fanno la differenza nella relazione con colleghi e clienti. Le abbiamo chiesto qualche anteprima sui contenuti e sui messaggi che porterà al pubblico di Lariofiere, in un appuntamento che si preannuncia ricco di spunti pratici e ispirazioni sul legame tra stile, comportamento e leadership.
In che modo l’artigianato continua a influenzare il settore della moda e dell’arredo contemporanei? Qual è oggi il ruolo del “fatto su misura” e del prodotto unico?
«L’artigianato è sempre stato importante, ma oggi è il suo momento. Dopo anni di consumi compulsivi, cresce il desiderio di autenticità e di bellezza che duri. Nel 2026 parleremo di slow luxury: meno quantità, più sensazioni più tempo, più noi. Moda e arredo torneranno a essere luoghi dell’anima, dove il vero valore è ciò che è fatto con cura, competenza e verità».
Spesso si parla di “standing professionale”, ma che cosa significa davvero? E come si costruisce senza sembrare impostati o finti?
«Lo standing professionale è l’insieme invisibile di ciò che trasmettiamo prima ancora di parlare, il modo in cui entriamo in una stanza, come occupiamo lo spazio, come ci muoviamo, come vestiamo. È la coerenza tra ciò che siamo, ciò che facciamo e ciò che mostriamo. Quando questa coerenza si rompe, quando indossiamo una maschera o un ruolo forzato, il pubblico, i colleghi, i clienti lo percepiscono immediatamente. Lo standing non nasce da un dress code, ma da un codice interiore. Va coltivato partendo dalla propria personalità, dai propri talenti, dai personali punti di forza. Io dico sempre: “il talento è il volano dello standing”. Quando conosci il tuo talento quello vero, non quello dichiarato, tutto il resto si allinea: la voce, i gesti, i colori, perfino i silenzi. Da lì, ogni gesto diventa naturale, ogni outfit in linea, ogni parola perfetta. Si parte sempre dall’essere, non dall’apparire. Un abito non deve travestire, ma tradurre. Spiegare chi siamo in un linguaggio visivo comprensibile, coerente e in armonia con il contesto in cui lavoriamo. E quando questa armonia si manifesta, nasce quello che io chiamo il vero standing, una naturale autorevolezza che non ha bisogno di imporsi per essere creduta».
Un manager, un creativo e un giornalista che partecipano allo stesso evento,, possono vestirsi in modo diverso o ci sono delle buone regole che valgono per tutti?
«La regola del rispetto per il contesto vale sempre, ma il modo in cui la si interpreta è personale. Un manager comunica pragmatismo e autorevolezza, il suo stile sarà essenziale, privo di artifici. Mentre un creativo, invece, deve dichiarare la propria identità visiva, gli accessori, i contrasti, i dettagli diventano parte del linguaggio. La giornalista, infine, racconta la verità anche attraverso ciò che indossa, uno stile autentico, chiaro, aperto alla relazione. Lo standing professionale, durante un evento non è uniformità tra i ruoli, ma armonia tra il partecipante, la sua posizione e il contesto».
Per un convegno importante, ma lungo tutta la giornata, come bilanciare comfort e autorevolezza?
«Per bilanciare comfort e autorevolezza bisogna partire sempre dal sé, chi sono, cosa rappresento, qual è il mio ruolo in quella giornata. Solo da questa consapevolezza nasce l’outfit giusto pratico, ma con un’identità precisa. Il manager sceglierà linee pulite, il tailleur per esempio, tessuti naturali o tecnici ma strutturati, scarpe allacciate o mocassini, con l’evidenza che comodità e rigore possono convivere. Il creativo invece prediligerà capi fluidi, sovrapposizioni, dettagli che raccontano la sua mente curiosa e in movimento, accessori parlanti, scarpe sneaker, borse a tracolla, bracciali, cappelli».
Quali sono oggi le nuove regole di Galateo nei contesti business, specialmente con l’uso costante del cellulare e dei social media?
«Le vecchie regole del Galateo restano attuali, la buona educazione non passa mai di moda. Ma oggi, nell’era dei device e delle distrazioni continue, il nuovo Galateo si misura nella concentrazione e nella relazione presente. Significa saper rivolgere lo sguardo, l’attenzione e l’ascolto all’altro, non allo schermo o all’alert di una notifica».
Nei momenti di networking o quando ci si presenta a qualcuno per la prima volta, quali piccoli gesti o atteggiamenti fanno davvero la differenza?
«Nel networking, come in ogni primo incontro, fanno la differenza attenzione e curiosità autentica. La buona educazione oggi è la capacità di restare presenti, ascoltare davvero, guardare l’altro, non distrarsi per un nonnulla. È un esercizio di concentrazione la nuova forma di intelligenza relazionale.
Quando mostriamo interesse sincero per ciò che l’altro racconta, poniamo domande, valorizziamo il suo punto di vista, allora accade la magia, l’altro si sente compreso e importante come essere umano. E in quel momento il networking smette di essere strategia e diventa relazione viva che prosegue con successo».
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