Oltre i dazi, rotta verso sud: «si aprono nuovi mercati»

In copertina Riccardo Riva, Ceo di Fischer&Rechsteiner Company, analizza le ricadute possibili dell’accordo Usa-Ue sui dazi

«Trump ci ha dato un ceffone con la vicenda dei dazi, ci ha sorpresi e ci ha colti impreparati: spero che ciò serva all’Europa per smettere di essere attendista e decidere da sé sul proprio futuro». Lo afferma Riccardo Riva, spedizioniere internazionale, presidente e Ceo dell’azienda di famiglia, la Fischer&Rechsteiner Company attiva da oltre 70 anni con sede centrale a Valmadrera e una serie di filiali e società all’estero.

Che effetti si aspetta dall’imposizione statunitense di dazi al 15% sulle esportazioni europee dirette negli Usa?

La nuova tariffa non è uno spartiacque fra un prima e un dopo. I dazi comunque c’erano anche prima e anche ora si aggiungono alle dinamiche sul cambio valutario, che per quanto riguarda il Dollaro è passato da una situazione che nelle ultime settimane era per noi penalizzante fino al miglioramento di questi ultimi giorni. Su alcuni prodotti ci si trova l’applicazione di un dazio che in precedenza era in forma attenuata oppure era assente: ciò naturalmente colpisce determinati settori.

Il ministro dell’Economia Giorgetti parla di una perdita stimata in mezzo punto di Pil.

D’accordo, c’è una stima di raffreddamento del Pil, ma lo stesso ministro dell’Economia che in un primo momento aveva parlato di una perdita pari a mezzo punto di Pil ora dice che è prematuro stabilire in modo dettagliato le conseguenze dei dazi.

Che variabili di comportamento si aspetta dalle imprese?

Posto che alla fine comunque chi paga è il consumatore statunitense, normalmente un esportatore europeo dovrebbe cercare di mantenere un livello di prezzo che inglobi il dazio. A quel punto l’azienda americana cliente potrebbe decidere (o meno) di assorbire l’incremento del dazio oltre che considerare la componente valutaria che potrebbe, a seconda dell’andamento, migliorare o aggravare l’andamento del dazio. La situazione è certamente molto fluida.

La partita non è ancora chiusa e per ora ha vinto Trump. L’Ue saprà negoziare sulle esenzioni per determinate merci?

Tenendo per buono che sia reso definitivo quanto annunciato, bisogna tuttavia riconoscere che perlomeno si profila ora un quadro di certezza e questo a mio avviso è positivo: veniamo da mesi di incertezza che si ripercuote sulle strategie delle aziende e sulla pratica degli ordini, che proprio a causa dell’incertezza dell’economia generale sono a breve termine, con conseguenze anche sui trasporti visto che non raramente gli imprenditori sono rimasti col dubbio che un determinato quantitativo di merce acquistata sia stata una decisione incauta o sbagliata perché le decisioni politiche sarebbero potute cambiare.

É stato un accordo a caro prezzo, visto che include l’impegno ad acquistare 750 miliardi in energia e ad investire 600 miliardi negli Usa in aggiunta all’acquisto di armi di produzione statunitense?

Non dobbiamo confondere le modalità di una negoziazione, sicuramente stigmatizzabili o censurabili se non altro per le modalità dell’interlocutore oltre che non condivisibili rispetto alle nostre abitudini negoziali date dal sedersi a un tavolo e trattare rispettando l’interlocutore e con un confronto serio di valori. L’accordo sembrerebbe un po’ asimmetrico, con tante concessioni da una sola parte. Ma è anche vero che stanno venendo al pettine i nodi di un’Europa che presenta le proprie debolezze e criticità: debolezza nelle relazioni interne, nell’eccesso di burocrazia, di regolamentazione. Negli ultimi tempi Confindustria si è mossa con vivacità proprio per un abbassamento dei livelli di burocrazia e credo che questa sia la strada giusta. Questi sono i veri dazi dell’Europa, che ci obbliga a viaggiare col freno tirato. Un’Europa che si è mostrata debole a un tavolo di negoziazione con gli Usa, che non hanno esitato a mostrare la propria forza dichiarando i loro obiettivi in modo molto schietto.

Debole anche perché divisa?

Debole anche perché i 27 Paesi sono molto diversi fra loro: alcuni, che non esportano negli Usa, possono essere indifferenti verso i nuovi dazi mentre altri forti esportatori, in primis Germania e Italia, subiscono in pieno certe dinamiche. Il tempo non gioca a favore dell’Europa, che deve decidere ora ciò che vuole essere, cioè protagonista dei propri interessi o gregaria di interessi altrui. Questo è il vero spartiacque che l’Europa deve affrontare: ora la controparte è Trump, domani potrebbe esserci una minaccia economica e commerciale dalla Cina, per non dire del cosiddetto nuovo mondo che sta avanzando e potrebbe sopraffare l’Europa. Direi che è tempo di mettere fine a bizantinismi e contrasti con determinati Paesi.

La sua azienda è presente in Brasile, dove i dazi sono ancora al 10% ma con un’aggiunta del 40% per un nuovo ordine firmato la corsa settimana da Trump su alcune merci pre punire il presidente Lula in risposta al processo all’ex presidente Bolsonaro. Quanto F&R sarebbe danneggiata da dazi al 50% al Brasile?

Sempre che quei dazi al Brasile vengano confermati, direi che come azienda non ci danneggiano in quanto il trade-in di esportazione dal Brasile verso gli Stati Uniti è caratterizzato dalle commodities agricole, da altre materie prime, da prodotti petroliferi e fonti di energia che non interessano più di tanto un operatore logistico quale noi siamo.

Per la nostra azienda la stessa cosa vale per l’Italia, dove abbiamo poche spedizioni verso gli Usa. Tuttavia siamo partecipi della situazione, visto che tutti operiamo in un contesto economico sempre più interconnesso e globalizzato, considerando anche solo il tema della mobilità visto che le compagnie aeree e marittime rimoduleranno le rotte e le frequenze delle spedizioni in base alla nuova situazione economica che si determinerà con i cambiamenti sui dazi. E questo ovviamente non solo le rotte Europa-Stati Uniti.

Trump riuscirà a spingere industrie italiane ad insediarsi negli Usa?

Installare una fabbrica all’estero non è certo cosa di immediata organizzazione e realizzazione. E certo non è pensabile che un progetto industriale possa essere pensato e poi ripensato a seconda delle politiche sui dazi di un Paese o di un altro. Tutti gli imprenditori con cui parlo di questo tema sono a dir poco cauti sull’idea di insediare produzioni dirette negli Stati Uniti.

Sul Lario ci sono eccellenze industriali che hanno in sé le caratteristiche per emergere grazie alla qualità, alla duttilità e sostenibilità del loro business. L’incidenza media degli Usa va comunque contestualizzata: da un lato è vero che magari vivremo la ripercussione di mercati che si raffredderanno verso di Stati Uniti, ma si stanno aprendo varchi commerciali verso il Sud-Est asiatico, c’è il Mercosur in via di finalizzazione: verso tutta quella fascia di “altro mondo” le nostre imprese hanno tutte le caratteristiche per diversificare le esportazioni. E quando tutta la discussione sui dazi decanterà potremo finalmente capire se avranno prodotto, oppure no, conseguenze così negative.

La politica deve supportare le imprese sui dazi?

É auspicabile che non si creino distorsioni competitive su eventuali sussidi o interventi governativi per sovvenzionare le aziende, operazioni che creerebbero distorsioni non favorevoli alla libera concorrenza. Personalmente non apprezzo le politiche interventiste dei governi per sussidiare economie o settori che per vari motivi possano trovarsi in crisi. Sono invece favorevole a limitare gli eccessi degli oneri burocratici e di regolamentazione.

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